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Tonino, Giggino, Ingroia: indago, arresto, mi candido e fallisco. Italiani, sveglia

De Magistris, Ingroia e Di Pietro

Queste ex toghe non ci fanno pena, ma speriamo che serva da lezione (a chi li ha votati...)

Andrea Tempestini
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Chiaro lo schema: indago, arresto, tiro in ballo più gente famosa possibile, faccio un fumo incredibile, infine mi candido perché sapete com'è, non ho scelta, il destino mi chiama. Di Pietro è stato un caso diverso, perché a capire che era un bluff (finanche pericoloso) gli italiani hanno impiegato una quindicina d'anni: e parliamo di un tizio che in potenza aveva la piattaforma di consensi più alta del Dopoguerra. Per gli altri i tempi della giustizia sono stati più rapidi. Prendiamo De Magistris: molti non lo sanno, perché lui e i napoletani si fanno i fatti loro, ma al sindaco di Napoli non crede più nessuno. Politicamente è isolato, morto. Appena eletto era primo per gradimento (70 per cento) e ora è diventato ultimo, e, come capitò a Di Pietro, a sorreggerlo è rimasto un elettorato a bassa scolarizzazione. Infine la storia più penosa: Ingroia. Dalla sua rovinosa disfatta politica sono passati dieci mesi, ma non è ancora riuscito a trovare un lavoro: uno qualsiasi. Nessuno crede più a un suo futuro politico - basta il passato - e ora sta tentando da avvocato, ma non ha neppure iniziato e ha già due sanzioni disciplinari sul groppone. Ora c'è un notaio, non bastasse, che ha bloccato la sua nomina a commissario liquidatore di una partecipata siciliana. Disastro. Pena non ci fa ancora, ma almeno speriamo che serva da lezione. Non per lui - figurarsi - e neppure per Di Pietro e De Magistris: per chi li ha votati.  di Filippo Facci @FilippoFacci1

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