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Agguato al Cav degli ex Pdl:vogliono aizzare l'Europaper cacciarlo dal Ppe

Berlusconi nel mirino: visto da Benny

L'idea degli azzurri sedotti da Monti: Frattini, Mauro e Albertini non sono riusciti a trascinare altri colleghi col Prof e brigano per la congiura continentale

Andrea Tempestini
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di Fausto Carioti Il gol dell'ex sarà pure uno dei tormentoni del campionato di calcio, ma in politica non funziona proprio così. Lo stanno imparando a loro spese i tre ex pidiellini di rango transitati con Mario Monti: gli europarlamentari Mario Mauro e Gabriele Albertini e l'ex ministro degli Esteri Franco Frattini. Con quest'ultimo che, peraltro, ha pensato bene di non candidarsi, restando in attesa della possibile nomina a segretario generale della Nato, già proposta a Bruxelles dal governo Monti. Su mandato del presidente del Consiglio, i tre hanno prima provato a traghettare qualcuno dei propri colleghi più dubbiosi sulle sponde centriste. L'elenco dei potenziali transfughi era lunghissimo. Basta rileggere l'appello di coloro che un mese fa si riunirono al teatro Olimpico per  chiedere a Monti di assumere la guida dei moderati: da Angelino Alfano ad Adolfo Urso, passando per Roberto Formigoni e Maurizio Sacconi. Ma tutti sono rimasti sotto le insegne del Cavaliere, complice la scelta scellerata di Monti di provare a sfilarli al Pdl uno per uno, anziché cercare di prenderli in blocco. È stato anche un fallimento di Mauro, Albertini e Frattini: sono stati loro, sino a pochi giorni fa, a contattare personalmente i colleghi, recapitando la proposta di Monti. Con risultati nulli. Così adesso i tre ex ci riprovano, con un nuovo obiettivo: processare Berlusconi a Strasburgo con l'accusa di anti-europeismo. Non più ambasciatori, ma sabotatori: il progetto prevede di distruggere i ponti attorno al Pdl, facendolo cacciare o almeno sospendere dal Ppe, la casa europea dei cristiano-democratici, primo gruppo al Parlamento europeo, dove Forza Italia risiede dal 1998. Pochi giorni fa, tra gli applausi degli altri popolari europei,  Mauro si è dimesso da capogruppo della delegazione del Popolo della libertà al Parlamento di Strasburgo. Il presidente del gruppo del Ppe, il francese Joseph Daul, ha prima definito «un grave errore» le parole con cui Alfano ha fatto scattare le dimissioni di Monti, quindi ha annunciato il «monitoraggio» della campagna elettorale del Pdl: se i toni saranno troppo anti-europeisti, o se l'alleanza con la Lega dovesse includere proposte contrarie ai principi inseriti nei trattati europei, Berlusconi e il suo partito finirebbero sotto processo. È quello che sperano i tre transfughi, intenzionati a far scattare la gogna europea prima del voto, nella convinzione che questo danneggerebbe politicamente il Pdl. Mauro, assicurano gli europarlamentari pidiellini, ci sta lavorando alacremente. Albertini lo ha invocato in pubblico: «Non mi meraviglierei che a breve venga avviata una procedura di espulsione del Pdl dal Ppe», ha detto l'ex sindaco di Milano. E Frattini ha gettato altra benzina sul fuoco ieri, intervistato da Avvenire: «La macro-regione che ha in testa la Lega è una follia, una contraddizione insanabile con gli Stati Uniti d'Europa e con la visione del Ppe. Il Pdl da che parte sta? Berlusconi da che parte sta? Lo dica, perché presto il Ppe vorrà capire». L'azione insistente dei tre ex, che peraltro trovano orecchie attente nei popolari di Strasburgo e Bruxelles, oltre che nel presidente del Parlamento europeo, il «kapò» socialista Martin Schulz, crea qualche fastidio al Pdl, e lo si vede dalla replica del capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto: «Frattini dimentica che noi siamo già stati al governo con la Lega. In questo governo egli era ministro degli Esteri e né lui né il Ppe ebbero nulla da ridire. Non si può esagerare nell'usare il Ppe a fini dello scontro politico italiano, anche perché si rischia di far apparire il Ppe una sorta di versione moderna e soft del Pcus». Ancora più duro l'ex ministro Renato Brunetta:  «È inaccettabile che l'onorevole Frattini, per ragioni di puro opportunismo politico, si scagli contro il suo partito di origine e contro quel partito, la Lega, che gli ha consentito una grande carriera». Lo stesso Berlusconi sa di avere gli occhi dell'Europa addosso. Così ogni volta che parla in pubblico ribadisce di essere «il più  europeista degli italiani», impegnato semmai affinché l'Unione diventi diversa, più «europea», tanto da trasformarsi in «una potenza militare». Ma ci vuole altro, di questi tempi, per preoccupare un Cavaliere che sente la rimonta a portata di mano. Uno dei suoi fedelissimi, il deputato Giuseppe Moles, che d'intesa con Berlusconi organizzò l'astensione pidiellina durante il voto alla Camera sui provvedimenti economici di Monti, è sicuro che quelli di Mauro, Albertini e Frattini resteranno sogni di una notte di mezzo inverno: «Il Ppe ha cose più importanti cui pensare che dare retta a simili corbellerie. Chi oggi inventa simili scenari lo fa esclusivamente per ricreare e rilanciare la propria posizione politica all'interno di una campagna elettorale che sembra avere sbocchi diversi da quelli che sperava».  Anche coloro che nel Pdl hanno scarso feeling con Berlusconi e i suoi alleati in camicia verde ritengono poco probabile l'ipotesi del processo. «La verità è che noi abbiamo istituzionalizzato la Lega e per questo dovrebbero farci un monumento. E li voglio vedere quelli del Ppe», ghigna un membro della nomenklatura pidiellina, «che mandano via un partito come il nostro, che dopo le elezioni guiderà una coalizione che avrà almeno il trenta per cento dei voti, e rinunciano ai nostri eurodeputati, per tenersi quelli di Monti, capo di un'alleanza che a malapena arriverà al dodici per cento». Il lato ironico della vicenda è che Monti e i suoi, con questo assalto al Pdl, contraddicono quanto Monti stesso fece nella seconda metà degli anni Novanta. Fu proprio l'allora commissario europeo, su richiesta dei leader del Ppe che gli chiedevano consigli sull'opportunità di ammettere Forza Italia nei propri ranghi, a “raccomandare” la sigla di Berlusconi. Spiegò loro che «l'attività di governo e di pensiero di quel partito fossero coerenti con l'impianto ideale del Ppe»: così lo scorso settembre, a Fiesole, si è vantato di aver fatto lo stesso Monti, davanti ai vertici del Partito popolare europeo. Adesso il premier manda avanti i suoi per ottenere il risultato opposto. Dev'essere cambiato qualcosa, in questi tre mesi.

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