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Pd, vietato criticare i democratici: è scritto nel regolamento

Andrea Tempestini
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Alla faccia del nome, di democratico c'è ben poco nel Pd, a leggere i regolamenti interni delle federazioni locali. Vietata la critica, in ogni forma pubblica. Soprattutto sui social network. La censura è sempre più di moda in politica, non solo tra i grillini. Chi osa criticare il capo non sarà cacciato su due piedi, come nel M5S, ma deferito sì, al tribunale interno e messo sotto processo. Il Politburo ancora impera nelle roccaforti rosse della sinistra di provincia. Come a Piacenza, dove l'articolo 29 del regolamento del Pd recita così: «Gli iscritti al Partito Democratico della Federazione Provinciale di Piacenza debbono astenersi da commenti negativi e acostruttivi rivolti al Partito Democratico stesso nella persona dei singoli Segretari di Circolo, di Unione di Vallata, di Unioni d'Area o del Segretario/a Provinciale tramite social network o altri mezzi di informazione telematica e/o mediatica in generale se non hanno prima richiesto idonea convocazione del Circolo di riferimento e affrontato, in tale sede, e discusso le tematiche e gli argomenti che lo pongono in conflitto con il Partito stesso». E badate bene, non è una norma del '15 -'18, ma un regolamento scritto circa un mese fa, dove, nell'articolo suddetto, è prevista l'aggravante Twitter-Facebook. «Nel caso che gli iscritti non procedano nella predetta discussione, ma procedano direttamente alla pubblicazione sui social network dei commenti negativi e volti a portare nocumento acostruttivo al Partito Democratico gli iscritti e le iscritte resisi palesemente responsabili di tali atteggiamenti verranno deferiti al Presidente della Commissione di Garanzia dell'Unione Provinciale /Territoriale di Piacenza che procederà in forza di quanto previsto dal Codice Etico del Partito Democratico». E meno male che Renzi sabato all'Assemblea nazionale del Pd aveva garantito la libertà di pensiero e di coscienza dei parlamentari del Pd: sul territorio va in onda un altro film. E la cosa più grave è che il bavaglio non si applica ai dirigenti, ma alla base. Ai tesserati. Il segretario provinciale di Piacenza, Gianluigi Molinari, prova a ridimensionare: «Nessuna censura. Lungi da noi voler limitare la libertà di pensiero e di espressione dei nostri tesserati», assicura Molinari, «abbiamo appena approvato un regolamento di circa 40 articoli, tra i quali ce n'è uno dedicato al confronto e alla critica politica. Il Pd ha un codice etico che stabilisce le norme di comportamento e quello nessuno di noi si è sognato di toccarlo minimamente. Ma abbiamo solo voluto ribadire la necessità di portare il confronto all'interno della sede preposta, che è il partito». Il che avrebbe anche un senso se la norma fosse applicata ai dirigenti, secondo il sacrosanto principio per cui, in politica come nella vita, i panni sporchi si lavano in casa. Ma con questa regola viene negato il diritto di critica a qualunque iscritto al Pd. «Qui non c'è alcun intento persecutorio né intimidatorio nei confronti di nessuno», insiste Molinari, «semplicemente la volontà di stimolare il confronto interno e la richiesta di diminuire la conflittualità pubblica a favore del dibattito e, perché no, della conflittualità interna». Più che richiesta, un diktat. Occhio, compagni piacentini, d'ora in poi sono vietati anche i tweet. di Barbara Romano

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