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Riforme, Silvio Berlusconi frena: "Il Senato non si cambia in 15 giorni". Allarme per Matteo Renzi

Giulio Bucchi
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Basta una frase di Silvio Berlusconi, appena accennata, a mettere nei guai Matteo Renzi: "Il Senato? Non si riforma in 15 giorni". Dopo la sentenza di assoluzione al processo Ruby, il leader di Forza Italia sembra aver riacquistato un potere politico e contrattuale fin qui mancato nella trattativa sulle riforme con il premier. "Renzi è un fuoriclasse, come comunicatore - ammette Berlusconi coi suoi, ribadendo un giudizio noto - ma non ha una compagine all'altezza e ha tanta fretta. Il Senato è una istituzione che esiste da duemila anni. E non è possibile cambiarlo in 15 giorni". E il commento, riferito dal Corriere della Sera, fa suonare un campanello d'allarme a Palazzo Chigi.  I guai di Renzi - Berlusconi, libero dal pesante fardello di una condanna che qualcuno nel governo si augurava, può finalmente giocarsi le proprie carte al tavolo. Accelerare, accettando le richieste di Renzi su Italicum e Senato, non ha senso: il Cav non si sente più legato mani e piedi al destino del premier e vuole provare a strappare qualche vittoria significativa. Nei tempi, innanzitutto: allungarli significherebbe logorare Renzi, farlo macerare nelle polemiche e negli agguati dei malancisti del Pd e dei sempre imprevedibili grillini. E una Forza Italia più "lontana" dal Pd significherebbe anche obbligare Renzi a fare i conti proprio con l'instabilità di ogni possibile intesa con il Movimento 5 Stelle. Il doppio obiettivo di Berlusconi - Vale davvero la pena mollare Berlusconi e affidarsi a Beppe Grillo? Questo, il capo del governo non lo ha mai pensato, sebbene qualcuno all'interno del proprio partito (per miopia o per malizia) glielo continua a suggerire. Tanto è vero che è lo stesso Renzi a ribadire, dall'Africa, che sulle riforme "si va avanti con Forza Italia e il Nazareno, e sarebbe stato così anche nel caso di condanna di Berlusconi". Ora, però, è il leader azzurro ad avere una piccola arma a suo favore: rallentare la corsa della riforma del Senato significherebbe anche allontanare l'esito finale sulla legge elettorale, riversando tensioni sul governo, allontanando democratici e grillini e costringendo Renzi a chiudere sull'Italicum che piace a Forza Italia, quello senza preferenze. Avanti con le riforme, dunque, ma senza fretta.

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