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Nuovo fisco, giustizia civile, Jobs Act Le promesse mancate inchiodano Renzi

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Ignazio Stagno
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Giù il Pil, l'Italia è in recessione e il presidente della Bce, Mario Draghi, non ha dubbi: «Tutto è dovuto all'incertezza sulle riforme, un freno molto potente che scoraggia gli investimenti». Per i renziani è un assist al premier, per gli altri un siluro senza precedenti, la prova che le promesse fatte fin qui dal capo del governo non piacciono in Europa, che vuole fatti e non parole. Draghi auspica «riforme strutturali» e per quanto Matteo Renzi si dica d'accordo con lui, finora ha sfogliato per gli italiani un libro dei sogni corredato da slides e pesciolini rossi. Parola d'ordine: le riforme. E giù un calendario da far paura ai tecnici dei ministeri per il ritmo serrato che proponeva. «A febbraio tagliamo i costi della politica», ha esordito il Rottamatore, «a marzo affronteremo il tema del lavoro, tra aprile e maggio il fisco, a giugno la giustizia, in modo da arrivare a luglio, alla prova del semestre italiano di presidenza dell'Ue, con le richieste che l'Italia fa all'Europa e non solo l'Europa a noi». Era il 17 febbraio scorso. A parole, davanti ai cronisti, andava come un treno. Poi a marzo, da premier, la road map delle riforme è stata aggiornata e perfino arricchita, lanciando messaggi trasversali ai vari «gufi» e «sciacalli» che, via via, osavano mettere in discussione il timing renziano. Ora, mentre in Senato, esauriti gli emendamenti, si gioca la battaglia finale sul destino di Palazzo Madama cercando di rispettare la data dell'8 agosto (oggi) su cui, però, preventivamente, sia Renzi sia la ministra-pupilla Maria Elena Boschi qualche settimana fa hanno messo le mani avanti, c'è tutto il resto del pacchetto che attende. E, poiché c'è di mezzo il Ferragosto, attenderà minimo fino a settembre. Dalla giustizia alla legge elettorale, dai temi etici alla sfida educativa (cioè scuola, beni culturali e Rai), dallo SbloccaItalia alla spending review, la revisione della spesa. Il piano, adesso, è a lunga scadenza e infatti il successore di Enrico Letta non parla più di «una riforma al mese in stile Obama», come ha fatto a marzo appena assunto l'incarico, ma di «dieci priorità dei Millegiorni». Praticamente obiettivi realizzabili da qui al 2017, per giunta messi nero su bianco nella lettera che il premier-segretario Pd ha inviato ai parlamentari. Istituzioni ed economia devono viaggiare in parallelo perché «le riforme servono anche ad attrarre investimenti», ha ripetuto ieri sera su La7. In più, dopo la doccia fredda dell'Istat e la stampa internazionale (Financial Times) che ha parlato dell'Italia come del «malato d'Europa», il comparto economico è quanto mai necessario. Vero è che l'ex sindaco di Firenze, con molta fatica, ha rispettato l'impegno degli 80 euro in busta paga, ma di recente ha fatto sapere che non è certo di riuscire a replicare il bonus il prossimo anno perché mancano le coperture per il 2015. Insomma, varato lo sgravio Irpef che ha consentito di aumentare i soldi in tasca alle fasce più deboli, la dura realtà dice che non si tratta di un intervento strutturale, ma a tempo. Solo con la legge di stabilità che vedrà la luce a ottobre si capirà se l'anno prossimo gli stipendi saranno più alti o meno. Niente di fatto neppure sul fisco, che deve portare cambiamenti radicali e semplificare il nostro sistema tributario. E poi c'è il passo falso sull'Irap: il taglio del 10% introdotto col decreto fiscale sarà in vigore solo dal 2015. E comunque sono riduzioni boomerang: perché parte delle coperture sono state individuate con inasprimenti fiscali: tasse dal 20 al 26 per le rendite finanziarie e gli interessi sui conti correnti e stangata sui fondi di previdenza. In stallo pure il famigerato Jobs Act, cioè la riforma del lavoro. Annunciato il 24 febbraio, finora si è visto un mini decreto, che porta la firma del ministro Poletti, ma che ha solo reso più flessibili le assunzioni a tempo determinato. I debiti della P. A., infine, che dovevano essere pagati entro luglio, saranno saldati a settembre. E ieri, non a caso, il monito Draghi: «Servono riforme strutturali». Come dire: per non affondare risultati veri, non chiacchiere. di Brunella Bolloli

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