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Consiglio dei ministri, perché Matteo Renzi ha iniziato con cinque ore di ritardo

Andrea Tempestini
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Un enorme ritardo, certo dovuto al tavolo sull'emergenza Ebola, ma anche - e forse soprattutto - alle frizioni di governo, ai dubbi sulla manovra che Matteo Renzi vuole partorire con il Consiglio dei ministri previsto inizialmente alle 15, poi slittato alle 18 ma iniziato ufficialmente soltanto dopo le 20. Subito dopo l'inizio dei lavori, fonti di Governo hanno fatto trapelare che l'importo della legge di Stabilità salirebbe dai 30 miliardi annunciati dal premier a 36 miliardi. In soldoni, stando alla prima stima da circa 30 miliardi, 18 di questi dovrebbero arrivare dalla riduzione di tasse, e 15 invece per effetto della spending review. Chiuso in una stanza - Ma i fari, qui, sono puntati su ciò che è successo prima dell'inizio dei lavori. Secondo quanto risulta a Libero, i ministri avrebbero atteso per ore il premier, chiuso in una stanza insieme al titolare dell'Economia, Pier Carlo Padoan, il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, il potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Lorenzo Lotti, e il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco. I ministri avrebbero atteso senza neppure l'ausilio di una brochure, di una serie di slide con cui consultare i punti all'ordine del giorno (un altro particolare da cui emerge il quadro tutt'altro che chiaro nel quale sono iniziati i lavori). Come detto, pochi secondi dopo l'inizio del CdM, quella "strana notizia" sull'importo della manovra che, nonostante i tentennamenti, salirebbe di 6 miliardi. Chi viene colpito - Prima del vertice, su Twitter, Renzi ha scritto: "No articolo 18, no contributi per chi assume a tempo indeterminato, no Irap su costo del lavoro. Tolti gli ostacoli per assumere". Inoltre, ancor prima dell'ufficialità, ha rivendicato: "La differenza tra la finanziaria 2014 e quella del 2015 è che ci sono 18 miliardi di tasse in meno. Tutto qui". Ma quei ritardi che hanno contraddistinto l'inizio dei lavori altro che non sono l'indice dei dubbi con i quali ha a che fare la maggioranza. La manovra riserverà una stangata agli enti locali: 4 miliardi a carico delle Regioni, 1,5 miliardi per i comuni, 500 milioni per le Province. Non a caso le Regioni hanno già fatto sapere di essere sul piede di guerra, spiegando che saranno costretta ad aumentare le tasse. Tagli ed evasione - Malumori, inoltre, dal ministero della Sanità: in vista c'è uno stop al previsto di 2 miliardi del Fondo sanitario, una decisione che ha causato parecchi maldipancia. Storcono il naso anche altri dicasteri, le cui riduzioni di spesa, stando alle previsioni, li interessano per 4 miliardi di euro. Parecchi dubbi, dunque, ai quali si lega il dubbio principale: la reale possibilità di trovare le coperture per una manovra che vuole essere "espansiva" e che rischia invece di restare solo un'ipotesi, ipotesi per giunta in grado di scatenare le rappresaglie del fronte rigorista di Bruxelles. Per quel che riguarda le coperture, infatti, i calcoli sulla spending review si sono quasi sempre rivelati errati e sovrastimati per tutti i governi, e inoltre Renzi punta a racimolare 3 miliardi di euro dalla lotta all'evasione fiscale, che è tutto tranne che una scienza esatta. Conferme e smentite - Di sicuro, la manovra dovrebbe confermare il bonus di 80 euro che vale complessivamente 10 miliardi, mentre dovrebbero essere aggiunti altri 6,5 miliardi per sterilizzare completamente l'Irap sul costo del lavoro. Ci sono poi, come annunciato su Twitter, i contributi zero per chi assume, risorse per nuovi ammortizzatori sociali pari a 1,5 miliardi, detrazioni per le famiglie per 500 milioni e il rinnovo del bonus per ristrutturare case e acquistare i mobili. Spuntano poi le risorse per i crediti d'imposta all'innovazione per 500 milioni, per assumere precari nella scuola (1 miliardo) e per bloccare la clausola di salvaguardia pari a 3 miliardi ereditata dal governo Letta, che avrebbe tagliato le agevolazioni fiscali. Secondo alcune fonti, potrebbe entrare in extremis nella manovra anche l'aumento della tassazione sulla previdenza integrativa, con un'armonizzazione dell'attuale prelievo dell'11,5% a quello applicato ai titoli di Stato, pari al 12,5 per cento.

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