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Massimo Mucchetti: "Denis Verdini non può stare nel patto del Nazareno"

Andrea Tempestini
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Qualcosa si muove, sotto il cielo della politica. C'entra la giustizia. C'entra Denis Verdini, vittima di due rinvii a giudizio in pochi mesi: ieri, martedì 3 novembre, la P3 per "associazione a delinquere diretta a condizionare lo Stato"; qualche settimana fa, invece, per il "buco" da oltre cento milioni della sua banca, il Credito cooperativo fiorentino. Una circostanza che non è sfuggita alla minoranza democratica che si oppone a Matteo Renzi. A guidare la rivolta contro il premier e contro il grande tessitore azzurro è Massimo Mucchetti, senatore democratico ed ex vicedirettore del Corriere della Sera, che in un'intervista all'Huffington Post si interroga sull'opportunità, per Renzi, di continuare a trattare con Verdini. I dissidenti, dunque, passano all'attacco del Patto del Nazareno. Spara, Mucchetti, spara - "E' sorprendente che (Renzi, ndr) accetti di negoziare con un personaggio il quale nel migliore dei casi ha tradito la fiducia dei risparmiatori toscani a causa della propria incapacità o di altro. Questo lo stabilirà il processo". E ancora, rincara Mucchetti: "Si apre nel caso di Verdini non già la questione della sua permanenza a Palazzo Madama, che non è in discussione, ma l'opportunità che sia il principale negoziatore e testimone del Patto del Nazareno". Il dissidente rimarca: "In entrambi i procedimenti (in cui è coinvolto Verdini, ndr) lo Stato deve costituirsi parte civile per aiutare, come vuole il processo, la scoperta di una verità giudiziaria attendibile". Possibile dunque, questa la domanda sottintesa, che Verdini stesso lavori per lo Stato? Sul Patto del Nazareno, Mucchetti spiega: "Può essere un atto di furbizia ma non un grande progetto per il Paese". L'attacco del Senatore, nelle ultime battute dell'intervista, si fa ancora più aspro: "Me lo chiedo ancora dall'esterno, da non iscritto al Pd. Esiste ancora un partito chiamato Pd?". Ottica elettorale - Ma esclusi gli interrogativi esistenziali di Mucchetti, al centro dell'attenzione ci restano gli attacchi a Verdini, e dunque al Patto. Senza Denis, è cosa nota, il rapporto tra Silvio Berlusconi e il premier si farebbe molto più difficile. Mancherebbe, appunto, il grande mediatore. E senza "Patto", anche la vita di questo esecutivo pare destinata ad essere più breve. Per quanto sempre smentite dall'uomo da Rignano sull'Arno, le voci sulla possibilità che si vada al voto anticipato si fanno sempre più insistenti. Una circostanza, quella delle urne, che secondo alcune ricostruzioni non dispiacerebbe affatto a Renzi, pronto a capitalizzare la grande quantità di voti che gli attribuiscono i sondaggi, a costo di provarci con il Consultellum, il proporzionale puro. Secondo rumors delle ultime ore, la scelta di Paolo Gentiloni alla Farnesina sarebbe stata fatta proprio in "ottica elettorale": un contentino a Giorgio Napolitano, un nome che Matteo non avrebbe voluto, ma accettato poiché l'ineluttabile destino del Belpaese sarebbe quello di tornare alle urne, già nella prossima primavera. Congiuntura perfetta - Uno scenario che si rafforza alle luci delle ultime grane piovute su Verdini. I più maliziosi potrebbero anche notare come, in effetti, Renzi avrebbe potuto "far conto" sulle date: bastava un po' di attenzione per capire che sull'azzurro Denis, in queste settimane, sarebbe calata la mannaia della procura. Insomma Matteo potrebbe aver già previsto tutto, contando sullo sgretolamento dell'asse con il Cavaliere, sgretolamento funzionale all'esercizio del voto. Se poi all'amo abbocca anche la minoranza del Pd, pronta a sparare sul Patto subito dopo l'"ufficializzazione" dei guai di Verdini, va da sé che le urne potrebbero, davvero, essere più vicine. Per Renzi, lo scenario sarebbe perfetto: con la minoranza Pd intenta a sparare contro di lui, e con un Nazareno (inteso come Patto, of course) depotenziato, potrebbe agilmente ricorrere alle urne. E neppure Napolitano avrebbe granché da ridire perché, ad oggi, soluzioni alternative sui radar non se ne vedono. Magari Renzi aveva pensato a tutto. Forse invece no. Di sicuro, l'ipotesi che questo governi non duri fino al 2018 - anzi - è tutt'altro che peregrina.

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