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Scafari, Rivera, Dotti: altri dieci papponi

Lucia Esposito
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Pochi se lo ricorderanno. Eugenio Scalfari, il più famoso giornalista italiano vivente, è stato anche un politico in una parte assai breve della sua lunga carriera. Eletto nel partito  socialista,fece il deputato fra il 1968 e il 1972, quattro anni prima di fondare Repubblica. Preso dall'entusiasmo appena arrivato a Montecitorio nel 1968 Scalfari firmò due proposte di legge: una per istituire una commissione di inchiesta sul Sifar e il golpe del generale De Lorenzo (era stato negli anni precedenti il suo cavallo di battaglia su L'Espresso insieme a Lino Jannuzzi), e una per rendere impossibile il referendum abrogativo su alcuni temi costituzionali (libertà personali, matrimonio e minoranze linguistiche). Nel 1969 Scalfari si è riposato. Nel 1970 pure. Nel 1971 ha messo la sua firma sotto quattro proposte di legge altrui. Nel 1972 un'altra firmetta sotto un testo altrui. In tutta la legislatura ha preso la parola 41 volte, fra aula e commissione. Undici volte per sollecitare l'esame della sua proposta di commissione di inchiesta sul Sifar. Una per chiedere un giurì con un deputato Msi che secondo lui l'aveva insultato. Altre volte per sollecitare l'esame dell'altra proposta di legge, in qualche caso per commentare la manovra finanziaria (un po' è stato in commissione bilancio, un po' in commissione industria). Ha alzato la mano mostrando di esistere quindi una volta ogni 35 giorni di mandato parlamentare. Forse non voleva disturbare. Comunque alla fine si è arreso: la politica non era il suo mestiere. È tornato a fare il giornalista, e tutti lo conosciamo per quello. I soli a ricordarsi che fu deputato sono i funzionari che per decenni si sono succeduti all'ufficio amministrazione della Camera dei deputati. Che da allora gli spediscono ogni mese a casa un assegno lordo di 2.162,52 euro. Non è un granchè, e Scalfari manco se ne accorgerà: le sue finanze dipendono sicuramente da altro. Però tutti insieme quegli assegnini- il famoso vitalizio degli ex onorevoli- hanno fatto negli anni un assegnone, superiore ai 908mila euro. Enormemente più grande di un altro assegnino: quello che di mese in mese la Camera stessa gli aveva messo da parte durante quella legislatura che fu pure sciolta anticipatamente. Fra quello che allora fu versato e quello negli anni incassato c'è una differenza da 847mila euro, che mettono Scalfari ai primi posti della classifica dei re del vitalizio. Anche merito della sua buona salute e della evidente longevità. Gli auguriamo di durare ancora a lungo, e magari di superare il milione di spread fra quanto versato e quanto ricevuto sotto forma di vitalizio. Ma anche lui è il simbolo di quel che non funziona in quel sistema che la casta si è creata. Lo spread fra quanto versato e quanto incassato tocca quasi tutti gli ex parlamentari italiani, e ovviamente più di tutti chi in Parlamento ci è passato magari togliendosi solo lo sfizio della politica: una o due legislature. Vecchie regole consentivano di percepire quell'assegno anche a 50 anni, poi man mano l'asticella è salita (non di molto), e oggi si può andare in pensione da politico a 65 anni con soli 5 anni di contributi, e a 60 anni con 10 anni (vale dire due legislature piene). Comunque un privilegio, che resta evidentissimo visto che le regole per tutti gli altri italiani sono peggiorate in contemporanea: la distanza fra casta e gente comune non si è affatto ridotta nemmeno con le nuove regole. L'assegnone se lo sono presi perfino politici professionisti, che hanno sulle spalle numerose legislature. Come Paolo Cirino Pomicino, che però è stato fuori servizio per qualche anno, è rientrato in Parlamento nella seconda Repubblica, e poi è diventato solo pensionato. Fra il vitalizio preso fino al 30 aprile scorso e i contributi versati (che per lui non sono pochi) c'è comunque una differenza di 775 mila euro a suo favore. Dovuta all'assegno che è più del doppio di quello di Scalfari: 5.231,07 euro lordi al mese. Condizione non dissimile dalla sua quella di Gianni Rivera, che molti ricordano per la sua entusiasmante carriera da calciatore, ma che nella sua vita ha passato più anni in politica. Il suo vitalizio supera i 5mila euro, e rispetto ai contributi versasti gli ha già dato un vantaggio di 547mila euro. Poco sotto il professore Giuseppe Guarino, ex ministro, che ci ha guadagnato 496mila euro. Bei dividendi pure per una scalfarina come Sandra Bonsanti, ex giornalista di Repubblica: 411mila euro di spread a suo favore. Ci ha già guadagnato 310mila euro Vittorio Dotti, che fu avvocato e poi capogruppo del primo Berlusconi e poi ruppe con lui (ma ha fatto fruttare quel breve periodo). Riescono a guadagnarci già politici che sono usciti non molti anni fa dal Parlamento, come Chiara Ingrao, l'avvocato Carlo Taormina, Fausto Bertinotti e Sergio Chiamparino: per tutti già un dividendo da vitalizio che supera i 100 mila euro e arriva fino a 200 mila. Franco Bechis

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