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Bechis inchioda la Boldrini: zero controlli sui deputati in missione con paga extra

Giulio Bucchi
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Valeria Valente, la candidata sindaco del Pd a Napoli, da tre mesi esatti sta facendo la sua legittima campagna elettorale a spese dei contribuenti italiani, facendosi mettere in missione alla Camera dei deputati e salvando così ogni mese 3.500 euro di diaria che non le sarebbero dovuti, essendo lei di fatto quotidianamente assente dal 28 gennaio scorso. Questa notizia, che proprio su Libero avevamo scritto alla fine della settimana scorsa, è incompleta. Perché solo ora ne spunta un'altra parte: la Valente in tutto questo periodo si è messa in missione una seconda volta, come membro dell'ufficio di presidenza della Camera, dove svolge la funzione di segretario in quota Pd. Anche lì si è messa in missione, salvando in questo modo l'indennità mensile aggiuntiva di circa 1.200 euro. In tutto quindi è pagata 4.700 euro al mese dalla Camera (e quindi dai contribuenti) per fare la sua campagna elettorale invece del lavoro istituzionale. Questa seconda parte- di cui non eravamo a conoscenza- è stata svelata ieri involontariamente dallo stesso presidente della Camera, Laura Boldrini, in una lettera inviata a Libero dal suo bravo portavoce, Roberto Natale. Una lettera in cui la Boldrini voleva difendersi da questo episodio di malcostume istituzionale, spiegando di non avere responsabilità dirette né di avere poteri per verificare quel che fa la Valente. Ecco il testo della lettera: "In riferimento all'articolo pubblicato a proposito delle missioni della deputata Valeria Valente durante la campagna elettorale per le prossime amministrative, si precisa che per prassi consolidata i membri dell'Ufficio di Presidenza della Camera - Vicepresidenti, Questori, o Segretari di Presidenza come è appunto l'onorevole Valente - sono posti in missione automaticamente, a loro richiesta, senza che la Presidente eserciti alcun vaglio al riguardo". Libero in realtà aveva utilizzato i dati di Open Polis sulle assenze- giustificate tutte con missioni istituzionali- in aula della Valente alle centinaia e centinaia di votazioni fra il 28 gennaio ed oggi, con la sola eccezione di due casi in cui voleva fare bella figura con Matteo Renzi (un voto di fiducia al governo sulle banche e il voto finale sulle riforme costituzionali). Ora sappiamo dalla Boldrini che la Valente si è messa in missione anche in quanto membro dell'ufficio di presidenza, a cui lavori nel periodo non ha mai partecipato. E il presidente della Camera spiega di non potere sindacare i motivi di quella missione, perché per prassi così fanno tutti da sempre, e nessuno ha mai ficcato il becco. Verrebbe da dire: "Bell'usanza, complimenti. Segno di grande rispetto per i soldi dei contribuenti che pagano quelle missioni che tali non sono". Perché dopo mille proclami sui costi della politica, sul buon costume delle istituzioni, sentire dalla Boldrini che così fan tutti e lei non può eccepire, è davvero risposta che non ci saremmo attesi. Formalmente le missioni istituzionali della Valente che tali non sono hanno copertura per le votazioni da deputato da parte del suo capogruppo, Ettore Rosato. E per le assenze in ufficio di presidenza da parte del presidente di quell'ufficio, che è appunto la Boldrini. Dall'alto della suo incarico istituzionale però ci si aspetterebbe attenzione e vigilanza al decoro delle istituzioni, qualsiasi sia stata la prassi fin qui. Tanto più che il caso Valente è parallelo a un altro, quello di Roberto Giachetti. Entrambi candidati sindaco. Entrambi del Pd. Entrambi membri dell'ufficio di presidenza Entrambi con l'agenda densa di appuntamenti della campagna elettorale. Ma con una differenza abissale, che se la Boldrini non chiudesse gli occhi apparirebbe anche come una ingiustizia. La Valente è in perenne missione istituzionale, e di fatto si fa pagare la campagna elettorale da tutti i contribuenti italiani. Giachetti invece quando ha impegni elettorali risulta assente, e si paga la campagna elettorale di tasca sua (o con l'aiuto del suo partito). Una ci guadagna, l'altro ci rimette. Non può essere vicenda declinata secondo le sensibilità e le coscienze personali. Deve esserci una regola che metta tutti sullo stesso piano. E se non c'è, apra gli occhi il presidente della Camera. E scriva quella regola. di Franco Bechis

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