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Nello Musumeci: "Al Sud Salvini può farcela. Beppe Grillo invece no"

Andrea Tempestini
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Salvini in tour una settimana intera in Sicilia per tirargli la volata. Berlusconi a Palermo nel giorno di Ognissanti per sponsorizzarlo. La Meloni che fa la spola tra Roma e l'isola da un mese. Tutto il centrodestra si mobilita intorno a Nello Musumeci, classe 1955, catanese, all'età di 15 anni già in politica. Fronte destro: il movimento giovanile dell'Msi. Era l'uomo su cui non si trovava l'accordo per le elezioni siciliane del prossimo 5 novembre. Fratelli d'Italia e Lega l'hanno sostenuto dal primo minuto, Forza Italia no. Si è guardata intorno a lungo, ma non è riuscita a trovare candidati più credibili. Lui ha tenuto duro, e due mesi fa, di colpo, l'ha spuntata, rifiutando l'offerta, reiteratagli più volte, di un seggo sicuro a Roma pur di ritirarsi dalla contesa. «Ma io sono da sempre fuori commercio», taglia corto Musumeci. «Questa è l'ultima stagione politica della mia vita. Sono libero, non devo far carriera, non era pensabile mi ritirassi dalla corsa, la candidatura è un atto d'amore verso la mia terra. Se sarò eletto presidente, mi do cinque anni per rimettere in piedi e normalizzare questa Regione, poi chiudo per sempre. Senza ricandidarmi». Non sono pochi cinque anni per cambiare la Sicilia? «Sono pochissimi ma io ho il vantaggio di non dover costruirmi il futuro. Posso dire dei “no” e governare senza compromessi». Quale compromesso ha fatto per riuscire a mettere d'accordo tutto il centrodestra sul suo nome? «Il merito è più del senso di responsabilità mostrato dai leader e colonnelli dei partiti che mio». Alfano è rimasto dall'altra parte. «Lo trovo coerente con la sua recente vita politica. Sarebbe stato incomprensibile il contrario. In compenso molti suoi deputati regionali sono tornati alla casa madre, non condividendo le ultime evoluzioni del leader». Dicono che il centrodestra in Sicilia sia una compagnia di porcospini: stanno tutti insieme ma non possono avvicinarsi. «Sta di fatto che questa settimana vengono tutti a sostenermi. Se mi guardo intorno, non vedo realtà idilliache tra le altre coalizioni. Il centrodestra ha diverse anime ma le alleanze in politica siano un valore, o quantomeno un male necessario». Quanto deve ringraziare la Meloni per la sua candidatura? «È una mia amica, che ha creduto e si è battuta per la mia candidatura. Le donne in politica sono un valore aggiunto e hanno da sempre un ruolo importante nella storia della destra italiana. Pensi che la prima donna consigliere comunale in Italia fu una militante del Msi nel 1952, in Sicilia». Sicilia laboratorio di quel che accadrà alle Politiche la prossima primavera? «Mi auguro di essere un apripista nazionale per il centrodestra. E di vincere. La nostra isola è sempre stata anticipatrice delle scelte nazionali». Quanto è diversa oggi la Sicilia da quella del 61-0, il capolavoro forzista alle Politiche del 2001? «Molto. Quella fu una contingenza fortunata che non abbiamo saputo sfruttare e dal 61-0 siamo passati allo 0-61». Dove avete sbagliato? «Non abbiamo saputo segnare la discontinuità con il centrosinistra e siamo apparsi più interessati a gestire il potere che il consenso. Almeno così pensa la gente». Errori di tanto tempo fa? «Me lo auguro ma non sono convinto che tutti nel centrodestra abbiano capito che oggi l'aria è cambiata: non basta più dire di essere alternativi, bisogna presentare contenuti nuovi. Mi darebbe molta amarezza lo spettacolo di un centrodestra luogo della geografia politica ma non patrimonio di valori e una comune strategia». La metto di buon umore: i sondaggi le dicono bene, sbaglio? «Godo dell'effetto Crocetta: un governo scellerato, ha fatto le cose peggiori nel modo migliore, governando nel solco della tradizione politica clientelare siciliana. Non ha aperto un cantiere, non ha risolto un solo problema ai giovani disoccupati, ha portato il tasso di povertà in Regione al 42%, ha perso decine di migliaia di posti di lavoro nell'edilizia. Sono stati cinque anni di paralisi, è colpa sua se il Pd è messo così male sull'isola». È colpa anche del fatto che la sinistra si è divisa… «Quello è il riflesso della divisione nazionale. Il candidato del Pd, Micari, è una brava persona ma è stato calato dall'alto, un favore al sindaco di Palermo Orlando. Prima non aveva mai fatto politica e ora è fuori dai giochi. Almeno il candidato di Mdp, Fava, ha una storia». Libero ha scritto che Micari ha fatto promuovere la moglie prima di lasciare l'università e ricompensato chi si è prestato a farlo… «Ho letto, ma mi consenta di non commentare. Questione di stile». E il cinquestelle Cancelleri, il suo rivale più accreditato? «Per le Regionali di cinque anni fa Grillo attraversò lo Stretto a nuoto, e fu un'ottima mossa mediatica. Oggi per ottenere lo stesso effetto dovrebbe camminare sulle acque, perché il tour agostano di Di Maio e Di Battista per sostenere il candidato Cancelleri non ha avuto molto successo. Beh, almeno si sono fatti un po' di vacanza, sono giovani…». Perché M5S non ha sfondato nell'isola, come si aspettavano i vertici? «La Sicilia è una terra diffidente, è difficile che si affidi a chi non ha mai governato neppure un condominio. Un nostro detto recita “megghiu u tintu canusciutu ca u bonu a acanuscere, traducibile con meglio il male che conosco che la promessa di un bene sconosciuto». Cosa pensa dell'impegno di Berlusconi per lei? «La sua visita a Palermo farà contenti tutti. Al di là delle valutazioni politiche, i siciliani lo amano molto per la sua umanità». Che effetto le fa Salvini in Sicilia in tour elettorale per lei? «Lo ringrazio. La sua è una presenza pertinente e legittima, è il leader di un partito fondatore del centrodestra. Dimostra di essere un politico articolato e di ampie vedute. L'altro giorno a Palermo ha detto che l'Italia si salva o affonda unita. Mi fa molto piacere la sua evoluzione politica, forse 10 anni fa non avrebbe detto una cosa simile. Penso che abbia fatto bene a togliere il Nord dal simbolo della Lega. Una mossa necessaria se vuole diventare leader di un partito nazionale». Ce la farà a prendere voti al Sud? «Se la Lega si proporrà come forza identitaria contro la globalizzazione economica e culturale io credo che possa trovare terreno fertile al Sud. Anche la mia destra fa questa politica, ovviamente in una visione nazionale e unitaria». Appunto, e allora che spazio c'è per Salvini? «L'autonomia, la rappresentanza dell'identità che lega l'uomo al proprio territorio, contro l'omologazione imperante». La Sicilia non se ne è fatta molto della propria autonomia… «È stata un fallimento. Ci venne concessa nel 1946, dopo sanguinose vicende, per colmare il divario con il Nord. Ai tempi la Sicilia era l'ultima Regione d'Italia per il Pil; settant'anni dopo la situazione non è cambiata. Abbiamo usato l'autonomia come una foglia di fico per coprire le nostre vergogne. La classe dirigente siciliana l'ha interpretata come un privilegio anziché come un'opportunità». Il deputato siciliano Faraone, del Pd, ha suggerito di toglierla… «Andrebbe contro la nostra cultura. Il Parlamento siciliano è il più antico d'Europa, risale al 1130, lo fondò Ruggero II d'Altavilla». Cosa suggerisce allora? «Fino a oggi i politici siciliani hanno recitato il ruolo dell'ascaro del potente romano di turno, rinunciando all'autonomia e ai suoi poteri in cambio dell'assistenzialismo. Hanno puntato tutto sul rivendicazionismo, che è la peggiore cultura della Sicilia piagnona. L'errore fondamentale dell'isola è stato pensare che la ricchezza arrivi dal denaro pubblico, anziché puntare sulle imprese come ha fatto al Nord». Cosa pensa dei referendum autonomisti di Lombardia e Veneto? «Condivido l'animo che le ha ispirate, credo che ogni Regione debba valorizzare le proprie risorse. Lombardia e Veneto puntano a trattenere sul territorio le proprie ricchezze. Io in Sicilia vorrei riappropriarmi delle ricchezze che lo Stato ci ha tolto». Ma se siete la Regione più assistita d'Italia? «Guardi che anche noi siamo vittime dello Stato. La cosiddetta “questione meridionale” è scomparsa dalle agende del governo negli ultimi vent'anni. Durante i quali ci sono stati rubati con destrezza cinque miliardi che secondo le norme finanziarie sarebbero dovuti restare in Regione». Sa che la Sicilia spende un miliardo l'anno in stipendi ai dipendenti regionali, la metà di quanto spendono tutte le Regioni ordinarie messe insieme? «Mi conferma ciò che le ho detto: il denaro pubblico è stato usato come un grande ammortizzatore sociale». E a lei va bene così? «Cosa dovrei fare, licenziare ventimila padri di famiglia in una Regione di disoccupati? Non potrei neppure se volessi. Però posso riqualificarli e farli lavorare». Come, mi scusi: ha ventimila forestali, più del Canada, dieci volte quelli del Trentino? «Di cose da fare ce ne sono, se si vuole per esempio mettere in sicurezza l'isola sotto l'aspetto idrogeologico. Ma soprattutto se si punta a un rilancio turistico. Siamo il più grande museo a cielo aperto al mondo ma abbiamo solo sei milioni di turisti l'anno. Le Canarie ne hanno 75 milioni e non hanno un mattone della nostra.storia. Posso riconvertire molti impiegati che ora non fanno nulla in guardiani di siti archeologici, guide, operai». I sindacati non glielo faranno mai fare: seimila dipendenti usufruiscono della legge 104 e non possono essere trasferiti, tremila sono sindacalisti e hanno diritto a mantenere le proprie mansioni… «La ringrazio della precisazione, ma come le ho detto io sono un uomo libero, non ho più ambizioni di carriera, non devo fare favori né ricandidarmi e posso dire dei no. Questo, in una terra in cui tutti dicono sempre sì, mi consentirà di cambiare molte cose». Devo dirle che s'illude... «Sui compromessi al ribasso, oltre che sul rispetto della legalità, non transigo. Il nemico numero uno in Sicilia non è la mafia, che c'è da 170 anni, ma la rassegnazione, che è secolare. Pensi che in dialetto siciliano non esiste il tempo futuro». E pensa di introdurlo lei? «Come finisce, si racconta, recita un nostro detto. Greci, romani, normanni, bizantini, angioini, piemontesi: siamo una terra di dominati e non ci siamo mai preoccupati di plasmare il nostro destino. Ma ho fatto mio quel che disse Borsellino ai giovani una settimana prima di essere ammazzato per convincerli a non emigrare: “Questa terra diventerà bellissima”. Da questa frase prende nome il mio movimento, chi lo vota sa a cosa punto». Ma la legge siciliana è peggio del Rosatellum: lei diventerà presidente ma certo non avrà la maggioranza: come pensa di governare? «La legge è brutta e infatti la cambierò. Per il resto, sono convinto che le condizioni drammatiche in cui si trova la Sicilia indurrano l'opposizione a convergere sui punti essenziali del nosto programma». di Pietro Senaldi @PSenaldi

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