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Giorgio Galli: "Politici impotenti, è meglio eleggere i manager"

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Andrea Tempestini
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L'allarme fascismo in Italia è una semplificazione. È un argomento facile, da campagna elettorale, che permette di non affrontare la realtà. Ma oggi sono totalmente assenti le condizioni che negli anni Venti e Trenta resero possibile l'avvento di Mussolini e Hitler». Il professor Giorgio Galli, politologo novantenne, per decenni titolare della cattedra di Storia delle Dottrine Politiche alla Statale di Milano sforna un paio di saggi l'anno. Uno dei più recenti si intitola “Oltre l'antifascismo” e pare una profezia: a un anno dalla sua pubblicazione è ancora più d'attualità. Professor Galli, l'ex segretario del Pd, Veltroni, ha dichiarato ripetutamente di essere preoccupato perché ritiene che in Europa sia tornato un clima simile a quello che favorì il nascere delle dittature tra le due guerre… «Io invece potrei pensarla come Benedetto Croce, che definì il nazifascismo “una lunga parentesi”. Oggi i libri su Hitler e Mussolini hanno successo ma è folklore. Negli anni Trenta si pensava che la soluzione autoritaria potesse essere una risposta agli errori del comunismo e del capitalismo, poi però le conseguenze sono state drammatiche e tutto l'Occidente ha maturato una diffidenza verso questa via che è ancora fortissima. Soprattutto in Italia, che è stata teatro di una guerra civile sanguinaria». Come si spiega allora che la sinistra italiana continui a battere su questo chiodo? «Nel mio libro “Oltre l'antifascismo” (Biblon Editore) lo spiego chiaramente: il pensiero della sinistra poggiava su una rilettura semplificata del pensiero marxista; crollato questo, insieme al Muro di Berlino, non è più riuscita a elaborare un pensiero sociale forte intorno al quale compattarsi». Ha provato a sostituire il marxismo con l'antiberlusconismo? «In un certo senso. E ora che Berlusconi è più debole e parte del Pd progetta di governare con lui, sostituisce l'antiberlusconismo con il ripescaggio dell'antifascismo, il quale in un certo senso legittima, condannando la destra estrema, quella berlusconiana. Però è una piattaforma politica debole, uno dei tanti indicatori che il sistema è in difficoltà». L'allarme populismo rientra in questo scenario? «Il populismo è ritenuto di destra perché ha elementi presi dal fascismo. La sinistra lo utilizza con una connotazione negativa per lanciare l'allarme di derive autoritarie ma in realtà il populismo non ha colore: è solo la speranza delle persone, che ormai hanno ben capito che gli anni delle vacche grasse non torneranno, di non peggiorare le proprie condizioni di vita. Tant'è che oggi esiste anche un populismo di sinistra, come i Cinquestelle o Mélenchon». Tanto pessimismo storico è giustificato? «Io per temperamento sono ottimista, cionondimeno nel mio libro uscito a settembre, “La stagnazione dell'Italia” (Mimesis), che completa le analisi del “Golpe Invisibile” (Kaos 2015), attualizzo la teoria formulata nel 1937 dall'economista americano Alvin Hansen e rilanciata recentemente dall'ex capo della Banca Mondiale, Larry Summers. Hansen teorizzò una stagnazione secolare di lungo periodo, poi però arrivò la Seconda Guerra Mondiale e mischiò le carte, perché distrusse tutto e determinò il boom della ricostruzione. Oggi la spinta si è persa da trent'anni e, siccome grazie a Dio guerre non ce ne saranno, dobbiamo rassegnarci alla diminuzione delle risorse disponibili». Quando scarseggiano le risorse è meglio che comandi la destra o la sinistra? «Per mia formazione credo che non si possa rinunciare all'intervento pubblico. D'altronde perfino Trump, che ha rilanciato la destra in tutto il mondo, ha promesso forti interventi pubblici». Trump quindi non è il demonio, come va di moda dire? «Ma no. Viene contestato perché è anticonvenzionale e al di fuori dell'establishment. Il suo successo è stato uno choc per la politica americana, composta da professionisti puri, tant'è che, con mio stupore, perfino una parte dei servizi segreti lo osteggia, malgrado sia stato eletto legittimamente e abbia radici nell'America profonda». Cosa pensa della sua decisione di portare a Gerusalemme l'ambasciata americana? «Quella è una decisione presa da Clinton che nessuno aveva avuto il coraggio di rendere operativa. Trump è coerente alle promesse fatte in campagna elettorale. Evidentemente anche lui, malgrado sembrasse intenzionato a seguire la via dell'isolazionismo, poi ha ceduto alla teoria del destino manifesto universale degli Usa, già esasperata da Kennedy e Obama». Per i russi Obama è stato un disastro in politica estera: condivide? «Un giudizio drastico, ma certo non ha realizzato quell'ordine mondiale che aveva vagheggiato; anzi, ha complicato lo scenario. Ha promesso cambiamenti, come l'evoluzione democratica del mondo islamico, senza pensare che fosse molto complicato realizzarli e senza curarsi del fatto che il fallimento del progetto avrebbe avuto conseguenze drammatiche». Di fatto ha riaperto la Guerra Fredda? «Ha accresciuto le tensioni con la Russia. D'altronde tutti i presidenti americani hanno sempre pensato che per affermare il proprio ruolo nel mondo l'America dovesse opporsi alla Russia comunista. Solo ora gli Stati Uniti cominciano ad accorgersi che il loro competitor è la Cina». Ma la Russia è comunista? «Né la Russia né la Cina sono state mai comuniste nel senso puro del termine. Le loro élite per affermarsi hanno utilizzato uno strumento inventato dall'Occidente, il partito, con il quale hanno controllato il potere all'interno della nazione. E ora utilizzano un altro strumento nato in Occidente, la multinazionale, per allargare il proprio potere al mondo». Siamo al suo prossimo libro, “Come si comanda il mondo” (Rubettino) e “Arricchirsi impoverendo”. «Esattamente, uscirà a breve. Illustra come il potere nel mondo sia passato dalla politica ai consigli d'amministrazione. Oggi ci sono 500 multinazionali che governano il mondo: chi le guida prende decisioni che influenzano la vita delle persone molto più di qualsiasi premier». Ce n'è almeno una italiana? «Eni, Enel, Generali per il ramo assicurativo. Fiat, ma non è italiana. In Italia Fiat era fallita, poi Marchionne, che è un grande operatore finanziario l'ha ribattezzata Fca portando la produzione in Usa, l'amministrazione finanziaria a Londra e la parte fiscale in Olanda». Le multinazionali non sono democratiche… «Infatti, selezionano la classe dirigente per cooptazione. D'altronde, su seimila anni di storia che conosciamo, la democrazia copre poco più di tre secoli in una piccola parte del mondo. Oggi siamo sei miliardi ma solo 600 milioni di persone vivono in una democrazia rappresentativa». L'Ue è una democrazia, come dicono i progressisti e il Ppe, o una tecnocrazia, come sostengono i populisti? «Sotto il profilo delle istituzioni è una democrazia rappresentativa ma nei fatti i politici europei sono svuotati del proprio potere e controllati dalle multinazionali, che si sono auto conferite un enorme potere e mandano i propri uomini in Europa e poi se li riprendono. Draghi veniva da Goldman Sachs, dove adesso lavora l'ex presidente della Commissione Europea, Barroso. Macron proviene da Banca Rothschild, Schröeder guida un colosso petrolifero russo, il tramonto della Merkel è iniziato quando non è più riuscita a proteggere Volkswagen. Tutti sapevano delle emissioni truccate da molto prima…». Come se ne esce? «Se vogliamo tornare a basare il potere sul consenso, bisogna eleggere i vertici della grandi aziende con il suffragio universale. Oggi pare una teoria velleitaria ma non è detto che non ci arriveremo». Restringiamo lo sguardo all'Italia: siamo alla vigilia del caos? «Abbiamo tre schieramenti nell'arco di sei-sette punti, l'ascensore sociale bloccato e sistema politico che si tiene su a fatica con espedienti, come questo sistema elettorale che garantisce l'ingovernabilità». Anche lei è del partito del non vincerà nessuno? «Il Rosatellum è stato pensato dal Pd in funzione anti-Cinquestelle ma, come spesso accade, rischia di ritorcersi contro il suo inventore, visto che favorisce le coalizioni e quella di Renzi ormai si è disintegrata». Quindi vincerà il centrodestra? «La coalizione fino alle elezioni non si sfalderà. Dopo, o Berlusconi, Salvini e Meloni avranno i numeri per governare da soli, e allora saranno costretti a farlo loro malgrado, oppure, più probabile, non avranno i numeri». E allora? «Credo che non ci saranno neppure i numeri per realizzare il progetto iniziale di Berlusconi e Renzi di governare insieme. Ma Salvini non li aiuterà, significherebbe rinnegarsi e suicidarsi». Neanche i grillini hanno speranze di vittoria? «Hanno smesso di crescere nei consensi perché rischiano di diventare un partito come gli altri, tant'è che come leader hanno scelto il più politico e istituzionale di tutti, Di Maio. Non incarnano più la novità». Come si spiega il ritorno in grande stile di Berlusconi? «Con il deterioramento complessivo dell'intera classe politica. Chi si è proposto come novità, si è esaurito prima. Comunque non è tornato solo lui; per lo stesso motivo sono tornati Prodi e D'Alema. E Veltroni se volesse…». L'operazione Liberi e Uguali non è un po' patetica? «È un difficile tentativo di rianimare la sinistra. Era inevitabile che il rottamato D'Alema cercasse la sua rivincita. È un grande tattico e l'ha ottenuta vincendo il referendum del 4 dicembre ma siccome non è uno stratega non è riuscito a spodestare Renzi dalla guida del Pd e quindi si è inventato la scissione». Che non andrà da nessuna parte… «In un quadro frammentato come quello che uscirà dalle elezioni, anche una forza del 6-7% può avere peso». Colpa dell'economia se Renzi si è bruciato così in fretta? «Nessuno avrebbe potuto fare molto di meglio. Si è bruciato perché non ha raccontato al Paese come stavano davvero le cose. Non puoi continuare a dire che l'Italia va alla grande se poi i cittadini vivono una realtà diversa da quella che descrivi. Pensiamo all'istruzione: ha fatto una riforma, l'ha chiamata “Buona Scuola” e ne ha cantato le lodi. Poi i professori che dovevano chiedere ai genitori degli alunni di portare la carta igienica da casa hanno votato No al referendum. Il segreto del boom di Salvini sta nel comportamento opposto: presenta la tragedia italiana esattamente per come è e promette alla gente non la ricchezza ma di combattere l'impoverimento». Se nessuno avrebbe potuto fare di meglio, cosa può salvare l'Italia? «Solo un trauma di medio livello». Un governo grillino? «Quello sarebbe poco, i grillini promettono pasti gratis che non sanno cucinare. Quello che serve è una presa di coscienza collettiva che bisogna ribaltare il Paese come dopo il 1945. Oggi siamo una terra di privilegi e ingiustizie: la Fornero piange per i pensionati e crea centinaia di migliaia di esodati ma Zonin può rovinare 200mila persone e continuare a esportare i suoi vini, i magistrati sentenziano che i loro diritti sono intoccabili ma quelli degli altri no, gli imprenditori eredi di grandi dinastie falliscono ma hanno le casseforti personali piene…». di Pietro Senaldi @PSenaldi

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