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Paolo Becchi: perché anche la Liguria voterà per l'autonomia

Giulio Bucchi
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Lo Stato - questa formazione politica che contraddistingue la modernità - e l' idea di nazione che è adesso intrinsecamente connessa, tanto che molto spesso si parla di Stato nazionale, appartengono ormai ad una stagione passata? La globalizzazione è veramente un trend ormai irreversibile? Non possiamo dunque che pensarci da un lato come europei o meglio cittadini del mondo e dall' altro come membri di una qualche piccola o media «tribù»: il Comune o al limite la Regione? Non ci sentiamo più italiani perché siamo liguri, lombardi, veneti, siciliani e cittadini del mondo? Queste alcune delle domande a cui spero non dico di rispondere ma di tentare di farlo. Cominciando dall' idea di nazione. Quella di nazione è stata considerata, almeno a partire dalla fine della prima guerra mondiale, un' idea sfruttata e rivendicata soprattutto da «destra»: retoriche nazionaliste prima, fasciste poi. Eppure non compreremo nulla di quest' idea, anche solo guardando al nostro Paese, se non sapremo capire anzitutto i suoi corsi e ricorsi. L' idea di nazione oggi non è la stessa di ieri. Il richiamo alla nazione, all' identità nazionale è stato nel corso del 19º secolo uno dei motivi ideologici fondamentali che hanno accompagnato il processo risorgimentale dell' unificazione e successivamente ad esso i tentativi di legittimazione del regime statutario. Fatta l' Italia il mito della nazione doveva servire a fare gli italiani, eliminando i «patriottismi» locali. Con il collasso dello Stato liberale e l' avvento del fascismo il mito della nazione è diventato totalizzante. Un mito che ha tuttavia determinato la crisi del concetto di nazione nel nostro Paese, facendo di esso un termine che con il crollo del regime fascista, non sembrava più passibile di utilizzazione nella nuova Repubblica dei partiti del cosiddetto «arco costituzionale». Così la parola ha conosciuto un lungo corso di oblio sostituita da un altro mito, quella della resistenza antifascista. Anche se questo mito in qualche modo ancora persiste e viene ripescato, quando come ora è il caso, a scopo elettorale da una sinistra priva di idee, qualcosa negli ultimi anni è cambiato. È in corrispondenza con la crisi sistemica dell' Unione europea che si è risvegliato, non solo in Italia, l' idea di nazione. Gli Stati sono sono ritornati a rivendicare sovranità, i popoli a sentirsi nazioni. È fallito il tentativo di integrare l' Europa disintegrando le identità nazionali. Fallimento epocale per certi versi simile a quello dell' Unione Sovietica. Forse di questo non siamo ancora consapevoli. Oggi «nazione» significa recupero della sovranità perduta, recupero di ciò che è stato impropriamente ceduto all' Unione europea, in cambio di continue sofferenze e umiliazioni. Non significa recupero del centralismo, quello fa male tanto al Nord quanto al Sud, ma aprire la possibilità di conciliare l' idea dello Stato nazionale con le istanze del federalismo. «Sovranismo» non significa necessariamente «centralismo», un sovranismo debole non «leviatanico» è del tutto compatibile con le istanze autonomistiche. L' epoca dei grandi Stati organizzati in modo centralistico questa sì che è giunta al capolinea della storia. Ma l' alternativa non è un Super-Stato europeo o addirittura mondiale, bensì uno Stato nazionale federale rispettoso delle comunità locali, che non cede sovranità all' esterno, ma sa ridistribuirla al suo interno. Da questo punto di vista non abbiamo in fondo bisogno di più Regioni a Statuto Speciale ma di una vera riforma in senso federale dello Stato e le richieste di autonomia oggi crescenti, dopo Lombarda e Veneto ora tocca alla Liguria con la richiesta di un referendum regionale, dovrebbero essere una efficace spinta dal basso in tal senso: far «scoppiare» lo Stato centrale per far nascere quello federale. di Paolo Becchi

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