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Se i figli si ubriacano la scuola non c' entra, accusiamo i genitori

Alessandra Menzani
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La ragazzina del liceo Russell di Roma, entrata in coma etilico dopo aver scolato mezza bottiglia di Vodka, non dimostra soltanto che la scuola italiana è lacunosa e pecca di sciatteria. Cosa nota. D' altronde, un istituto che, invece di preoccuparsi di insegnare seriamente gli idiomi stranieri agli studenti del linguistico, organizza corsi di chitarra e roba simile (inutile o dispersiva) si qualifica da sé. I giovani che si affacciano alla vita non hanno bisogno di note e di alcol à gogo bensì di nozioni indispensabili a trovare un impiego, anche se non hanno voglia di lavorare. E questo non lo diciamo noi cronisti: risulta da statistiche drammatiche. Secondo le quali - e la notizia è di oggi - un figlio adulto su tre campa con le mancette di mamma e papà. Uno scandalo. Infatti, se le strutture della pubblica istruzione sono inadeguate e inclini a soccombere alle mode sinistrorse, le famiglie non brillano nell' impartire agli eredi una buona educazione. Eppure tutti gli individui che mettono al mondo bambini, destinati a crescere, dovrebbero sapere quale sia il loro principale compito: quello di imporre alla prole una formazione idonea. Non possono pensare di delegare alla scuola la funzione di impartire lezioni convincenti di comportamento. Recentemente in Sicilia, i genitori di un alunno hanno menato di brutto, rompendogli un paio di costole, il professore che lo aveva sgridato. Ciò prova che la società ha perso completamente la bussola. È ora di finirla di mettere sotto accusa gli altri se i pargoli amatissimi non sanno stare al mondo: abbiamo le nostre responsabilità, prendiamone atto e agiamo di conseguenza senza scaricarle sullo Stato, sulle sue varie istituzioni inefficienti quanto noi. La liceale ubriaca fradicia e ricoverata in ospedale, affinché non morisse sbronza, è il simbolo di uno sfascio attribuibile al costume invalso nel Paese: famiglie sbracate e superficiali, politica sedicente progressista e, in realtà, cieca e ignorante, gente travolta da problemi esistenziali e distratta dalla fatica di vivere. Dobbiamo essere capaci di guardarci allo specchio e capire dove sbagliamo. E i primi errori li facciamo in casa: a tavola non si parla più, si guarda la Tv, ciascuno digita sul cellulare, infine, ingurgitato in fretta l' ultimo boccone, ci si rinchiude in camera propria e ci si inchioda davanti al computer. Il dialogo da cui un tempo emergevano precetti educativi è stato sostituito dal mutismo, dal disinteresse per le vicende delle persone che dovrebbero esserci care. Nello squallore generale non possono che nascere l' indifferenza e un desiderio di fuga che si concretizza nel consumo della droga e delle bevande che stordiscono e rendono imbecilli. In parole povere: se ho un figlio cretino, sono un po' cretino anche io. Non c' entrano Gentiloni, la ministra Fedeli (ve la raccomando), il docente di latino o il preside del liceo Russell. di Vittorio Feltri

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