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Matteo Renzi, il piano del Pd: sostituirlo con Graziano Delrio se il partito va sotto il 23% alle elezioni

Andrea Tempestini
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Il problema non sarà quanto prende il Pd il 4 marzo, se andrà sopra o sotto la fatidica soglia del 25%. Il fattore da cui dipenderà il destino di Matteo Renzi (e del Pd) sarà, come dice un importante dirigente della minoranza, «la sua capacità di essere centrale nella fase che si aprirà, il ruolo che giocherà». Tradotto: il discrimine sarà se Renzi riuscirà a fare un governo con Forza Italia, perché altre geometrie non si vedono. E quanto, in quel governo, sarà decisivo. «Se sarà lui a dare le carte». In questo caso, spiega la nostra fonte, «anche quelli che oggi giustamente protestano (Graziano Delrio, Maurizio Martina, Marco Minniti, Dario Franceschini), perché sono usciti con le truppe decimate dalla composizione delle liste, non potranno che appoggiarlo». Se nascerà un esecutivo di cui fa parte il Pd e in cui Renzi «dà le carte», cioè può indicare i ministri, allora converrà a tutti sostenerlo, qualunque sia il risultato. Per una ragione ovvia: qualcosa ci sarà per tutti. Come vuole una regola aurea del Palazzo, al governo ce n'è per tutti. E se ce ne sarà per il Pd, ce ne sarà, in proporzione, per tutti i maggiorenti del Pd. Compresi quelli di cui sopra, che ora hanno ragioni per lamentarsi. Perché, come prosegue la nostra fonte, «sono stati non solo ridimensionati, ma umiliati». Con un metodo, secondo gli oppositori di Renzi, scientifico: «Ha cercato di indebolire quelli che, nelle trattative del dopo-voto, avrebbero potuto giocare un ruolo». Primo fra tutti Marco Minniti, ma subito dopo Paolo Gentiloni, perché anche il presidente del Consiglio ha subito la mannaia delle liste e molti dei suoi sono stati fatti fuori. Leggi anche: Biancofiore umilia Boschi: "Cosa provo per lei" VOGLIA DI 25 LUGLIO Se, però, questo scenario non si realizzasse, se il centrodestra facesse un risultato tale per cui il presidente della Repubblica non potrà non dare a loro l'incarico per formare il governo o se la scelta dovesse cadere sul M5S, insomma se il Pd fosse fuori dalle trattative, allora quello che accadrà è imprevedibile. La voglia di un 25 luglio, nel Pd, c'è ed è forte. Non solo nella minoranza, ma anche in settori della maggioranza che ora sono allineati a Renzi ma aspettano il momento giusto per staccarsi. Non si esclude affatto che - se tutto andasse male, elezioni e trattative - a quel punto, non resterebbe che procedere a un cambio. «Matteo sarebbe finito». Non potranno fare niente perché Matteo avrà gruppi militarizzati, dicono i renziani. Ma i numeri della direzione potrebbero ribaltarsi, obiettano gli altri. Nel parlamentino dem, infatti, il segretario ha sì una maggioranza, ma non di soli renziani doc. Sono decisive le aree di Franceschini, Martina, Delrio. Se il Pd alle elezioni andasse più vicino al 20% che al 25%, allora per salvare il soldato dem, gli azionisti dell'attuale maggioranza potrebbero mettere Renzi in minoranza. In direzione, prima che in un congresso. E a sostituirlo potrebbe essere proprio l'attuale ministro delle Infrastrutture. Una “congiura” che potrebbe contare sulla benedizione di alcuni pezzi importanti fuori dal Pd: Calenda e Prodi. IL PROFESSORE È vero che ieri il Professore ha lanciato un assist al Pd. «Liberi e Uguali», ha detto ad Affari Italiani, «non è per l'unità del centrosinistra. Punto. Renzi, il gruppo che gli sta attorno, il Pd e chi ha fatto gli accordi con il Pd sono per l'unità del centrosinistra». L'ufficio stampa di Prodi ha, però, precisato che l'ex premier ha solo «ribadito che certamente andrà a votare e che voterà per l'affermazione del centrosinistra e che le forze fuori dalla coalizione non stanno lavorando per l'unità». Come dire, non ha detto che voterà Pd. Né ha parlato di Renzi e basta. Va detto, poi, che i suoi sono impegnati nella lista Insieme, alleata al Pd. A Prodi ha risposto il presidente del Senato e leader di LeU, Pietro Grasso: «È sotto gli occhi di tutti che il centrosinistra non si è potuto ricomporre per volontà di Renzi». Quanto al segretario dem, al Tg1 ha ripetuto, a proposito delle liste, che «abbiamo scelto solo i migliori». Certo «qualcuno purtroppo ha dovuto lasciare il posto ma in politica il ricambio è, o dovrebbe essere, normale». di Elisa Calessi

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