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Marco Minniti, operazione islam: alla Grande Moschea di Roma per attrarre i voti islamici

Andrea Tempestini
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La scelta di visitare la Grande Moschea di Roma sembra quasi contraddire l'immagine che fino a qui Marco Minniti si era costruito. Il ministro «di destra» del governo, come scherzosamente lo chiamano nel Pd. L'uomo che è riuscito a fermare le ondate migratorie, che ha cominciato a far funzionare i rimpatri, che sulla sicurezza non transige. In realtà non è un affatto una svista. La visita di ieri fa parte di un percorso che Minniti, uomo di grande esperienza politica, lucidamente si sta ritagliando per il dopo 4 marzo. E va letta insieme a quell'ipotesi di governo di «unità nazionale» che lui stesso, il giorno prima, facendo infuriare lo stesso Matteo Renzi, ha messo in conto. Leggi anche: Minniti, il diktat a Renzi: "Cosa non deve fare" L'occasione della visita ieri è stata un convegno, «Musulmani italiani insieme per una società coesa», organizzato dalla rivista Limes e ospitato dal Centro islamico culturale d'Italia. Il ministro ha confessato la propria «emozione» e definito un «onore» la sua presenza lì. Era la prima volta che Minniti andava alla Grande Moschea di Roma. Ha parlato del «ruolo importante» che l'Italia può svolgere «nel rapporto tra musulmani ed Europa». Perché il nostro «è un Paese che storicamente ha avuto un approccio culturale e dei valori aperti al confronto, improntato alla tolleranza». Ha rivendicato con orgoglio il patto siglato tra il Viminale e le principali comunità islamiche: «Se si rafforzerà con la crescita dell'identità di un Islam italiano, e se questo diventerà il nostro unico interlocutore, il patto può essere veicolo per una intesa di carattere istituzionale». PRIMA VOLTA Da questo patto derivano aspetti concreti: il riconoscimento delle moschee come luoghi di culto pubblici e aperti, il no agli imam fai-da-te, i sermoni da tenere in italiano, la trasparenza dei fondi per la costruzione di nuove moschee. «Siamo davanti a una grande sfida culturale, la conoscenza è l'unico modo per superare la diffidenza». Naturalmente, però, la visita diventa oggetto della disfida elettorale. «Oggi», ha commentato Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia, «io sono nelle Marche per parlare di immigrazione, banche, sicurezza e, con i nostri pescatori, di lavoro. Mentre il ministro Minniti, candidato nelle Marche, si trova nella grande moschea di Roma per parlare con gli islamici». Ma non è solo sulla moschea che il titolare del Viminale fa discutere. Le parole pronunciate giovedì a Porta a Porta, a proposito di una sua disponibilità a far parte di un governissimo, sono un ulteriore elemento di tensione nel Pd, che si aggiunge a un clima già pessimo per via dei sondaggi che danno i dem in continuo calo. «La strada di un governo di unità nazionale è impercorribile», ha avvertito Andrea Orlando, perché tornare all'esperienza delle larghe intese «sarebbe un errore, dobbiamo dire con chiarezza che siamo alternativi alla destra». LA PARTITA DI MARCO Ne approfittano i più vicini concorrenti: «Minniti», ha commentato Roberto Speranza, Leu, «ha disvelato una verità che ormai appare con evidenza, e cioè che Renzi e Berlusconi lavorano per fare un governo insieme dopo il 4 marzo». Anche se poi Minniti si è corretto: «Ieri ho dato una risposta banale ad una domanda. Mi hanno chiesto se farei il ministro dell'Interno di un governo di unità nazionale, che è altra cosa rispetto ad un governo di larghe intese ed io ho risposto di sì purché ci sia il mio partito, aggiungendo che sarebbe un riconoscimento del mio lavoro». Silenzio da Renzi, che non ha affatto apprezzato l'uscita del ministro, così come dai renziani. E da Berlino anche il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha provato a spegnere la polemica: «Ho visto una sottile distinzione di Minniti che tanto sottile non è: ha precisato di non aver parlato di larghe intese ma, da ministro dell'Interno, di governo di unità nazionale». In ogni caso, ha concluso, «la mia opinione è che l'unico pilastro possibile di una coalizione stabile e pro-Europa possa essere una coalizione di centrosinistra guidata dal Pd». di Elisa Calessi

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