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Luigi Di Maio, perché è il premier perfetto per i poteri forti: il valletto perfetto per far fuori Matteo Salvini e la Lega

Andrea Tempestini
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Tra il nulla impacchettato con una giacca sartoriale sotto un bel musetto glabro e un leader con barba e felpa amico di Marine Le Pen, i poteri smorti non hanno esitato un secondo a baciare il primo rospo, fiduciosi di trasformarlo in principino. Niente di nuovo: il vuoto si può riempire di contenuti, chi ha qualche idea in testa - federalismo, linea dura con la Ue, stop all'immigrazione - no. Così le decrepite élite italiane puntano le fiches sul candidato più facile da condizionare. Leggi anche: Di Maio, l'incontro - imbarazzante - con Mattarella Luigi Di Maio a palazzo Chigi e Matteo Salvini all'opposizione con l'intero centrodestra, dice dunque il verdetto. Che è anche il riconoscimento dei Cinque Stelle come nuova Dc, con annessa Cassa del Mezzogiorno e l'eterna conversazione tra Tancredi e il principe di Salina a fare da sottofondo: «Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». ADEGUATEVI Al Pd, privo ormai di «spinta propulsiva», il compito di mettere i propri voti in Parlamento a disposizione del nuovo che avanza. Lo stesso Sergio Mattarella è pregato di adeguarsi: è il popolo che ha deciso così. E pazienza se Salvini e alleati hanno preso 1,4 milioni di voti in più: le schede non vanno solo contate, bisogna anche pesarle. È il motivo per cui, uno dopo l'altro, si stanno muovendo i pezzi di artiglieria pesante. Senza alcun timore di perdere la faccia, come il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, il quale ha detto che il Movimento Cinque Stelle è «un partito democratico, non fa paura». Agli antipodi di quel suo omonimo, pure lui leader degli imprenditori, che qualche mese fa giudicava il programma grillino «un meccanismo perverso che porterebbe le persone ad accontentarsi del proprio reddito di cittadinanza e a non dare valore al lavoro». Scelta analoga sta maturando nella Cgil di Susanna Camusso. Per il sindacato rosso la Lega e Salvini rappresentano il nemico; i Cinque Stelle, invece, sono un grande contenitore che ha rubato milioni di consensi ai democratici ed è stato votato da due elettori su tre a Pomigliano d'Arco. Un interlocutore obbligato, insomma, con le carte in regola per diventare il nuovo grande partito della sinistra e l'interesse a mantenere vivo il rituale della «concertazione». Nessun dubbio su chi preferire. In attesa di conoscere il pensiero di Romano Prodi, sappiamo ciò che pensa il suo bracco destro, Franco Monaco, il quale lo ha spiegato sul Fatto di ieri: «Il Pd dovrebbe andare a vedere le carte dei Cinque Stelle». Il suo mentore ed ex presidente della Commissione europea non si è ancora sbilanciato in pubblico, ma i suoi hanno fatto sapere che in privato ha trovato motivi di soddisfazione nel risultato delle elezioni, perché «non ha vinto Berlusconi». CHI SI RIVEDE Persino Mario Monti, l'uomo della Commissione Trilaterale e del Club Bilderberg, rema in quella direzione: «È auspicabile un governo Cinque Stelle-Pd se serve a spartire le responsabilità di eventuali scelte impopolari». Pure lui, ha spiegato il senatore a vita a Otto e Mezzo, potrebbe votare la fiducia: «Dipende dal programma». Intorno, svolazzano i giornali che in questi anni hanno tirato la volata agli stessi Prodi e Monti e a Matteo Renzi, e che adesso ritengono un esecutivo grillino puntellato dal Pd l'unica salvezza per l'Italia. Eugenio Scalfari invoca la fusione per incorporazione del Partito democratico nei Cinque Stelle (e a quel punto, esulta, «Mattarella ha un governo»). Tutti spingono per rimuovere l'ostacolo Renzi, colpevole di non accettare l'inevitabile resa del suo partito. Sul Corriere Aldo Cazzullo gli ha dato lo sfratto all'indomani del voto e Antonio Polito ha subito avvertito i democratici che non possono «restarsene tranquilli all'opposizione sperando in tempi migliori». Persino il cardinale Angelo Bagnasco, con il suo invito a non avere paura dei «nuovi assetti», pare sollecitare l'apertura di una fase impensabile una settimana fa. Ha l'aria di una grande congiura contro il centrodestra a trazione salviniana, ma è una battaglia per la sopravvivenza delle solite congreghe che in modo diverso minaccia ambedue i vincitori: la Lega, che si intende tenere lontana da palazzo Chigi, e i Cinque Stelle, che si vogliono normalizzare e addomesticare ingozzandoli di poltrone. Salvini ha solo da perderci; Di Maio invece no, e infatti pare starci. di Fausto Carioti

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