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Matteo Salvini, il retroscena: lo sfogo dopo la piazzata di Silvio Berlusconi, "agli italiani girano le palle"

Andrea Tempestini
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Si sono presentati in nove (nove!) davanti al capo dello Stato, i tre leader Salvini-Berlusconi-Meloni più i capigruppo, perché volevano mostrarsi compatti: ma perfino lì, nelle segrete stanze del Quirinale, la coalizione ha bisticciato. Pronti via, e il Cavaliere s'accomoda accanto a Mattarella, soffiando il posto al leghista. Pazienza. Salvini va subito al punto: «Noi siamo pronti, non abbiamo bisogno di aspettare le Regionali per cominciare a governare. Ma l'unico accordo possibile è tra noi e i 5 Stelle». Poi aggiunge che il nome dell'aspirante premier è il suo, «non abbiamo alternative» e quindi toglie dal mazzo anche l'opzione Giorgetti. Salta su Berlusconi: «Suvvia presidente, Di Maio non può fare il premier, non ha esperienza, non sa cos'è la democrazia. Noi siamo affidabili». Salvini e la Meloni si guardano preoccupati: non è la linea concordata, ma finché certe parole restano lì… Il problema è che non restano lì. Perché Berlusconi si presenta davanti ai giornalisti ed esonda. Leggi anche: Berlusconi, addio: ecco la donna che lo molla IL PORTAVOCE Quando succede, è il tardo pomeriggio. Il Cavaliere manda in frantumi la recita del centrodestra. E scatena le ire di Lega e Fratelli d'Italia. D'altronde, tutti sapevano che ricucire la coalizione non era impresa facile. La conferma era arrivata nel primo pomeriggio, quando i leader si erano dati appuntamento a Palazzo Grazioli per concordare la linea. Primo problema: al Colle, chi farà da portavoce? Sono più o meno le 15. È Giorgia, che tiene tantissimo all'unità, a proporre Salvini. Il Cavaliere è freddo, ma alla fine media: Matteo leggerà la dichiarazione unitaria, ma a scriverla ci penseranno soprattutto l'ex premier e Fratelli d'Italia. È dalla penna di Silvio che esce il riferimento all'accordo di Pratica di Mare, a proposito di politica estera, e il passaggio sulla Giustizia. Salvini rilegge, ritocca un paio di passaggi (tra cui uno sulla crisi tra Usa e Russia). Tutto bene? No. Berlusconi non riesce a digerire il feeling tra Carroccio e grillini, preferirebbe che nel documento ci fosse un appello generico a tutti i partiti, ma alla fine il centrodestra si rivolgerà alle forze politiche «a partire dal Movimento 5 Stelle». Salvini insiste: dobbiamo stanare Di Maio, non ci sono alternative. Ma gli alleati sentono puzza di bruciato, perché Lega e grillini si sono accordati in autonomia sul presidente della Commissione speciale. Doveva essere Giorgetti (così s'era stabilito ad Arcore, domenica scorsa), ma poi è spuntato Nicola Molteni. Un altro leghista. Il resto del centrodestra l'ha appreso dalle agenzie: ieri la Lega ha provato a porgere un ramoscello d'ulivo, offrendo altri incarichi in seno alla Commissione. Gli alleati hanno risposto sdegnati. «Non c'è stato dolo» ha spiegato Salvini. E la cosa è stata superata. Con l'animo più sereno, i tre arrivano al Colle. (Mattarella ascolta tutti ma ha fretta. Potrebbe attendere novità per altre 48 ore: se no, ha pronta la carta-Casellati per farle capire che aria tira). La Meloni riassume le richieste della coalizione: «Presidente del Consiglio espressione del centrodestra e unità della coalizione, taglio delle tasse, incentivi al lavoro, blocco dell'immigrazione clandestina, sicurezza e sostegno alle famiglie. Gli altri ci dicano ora se rispetteranno la volontà del popolo o se preferiscono gli inciuci di Palazzo». Giorgia fa un tweet, perché davanti ai giornalisti avrebbe dovuto parlare solo Salvini. Avrebbe, perché Berlusconi straccia il copione. Introduce Matteo, presentandolo come «leader». Poi, mentre il leghista legge il documento, gesticola e fa smorfie. Uno show. Il segretario del Carroccio non se ne accorge. La Meloni sì. Ed è furiosa. Quando Matteo termina la lettura lancia uno sguardo a Giorgia. L'invito è implicito (parla anche tu!) ma lei fa cenno di no, basta pasticci, però l'ex premier torna indietro e attacca i grillini, pur senza citarli. LA FRATTURA Gli alleati sono basiti. Il Cavaliere, poco dopo, fa intendere che non chiuderebbe ai dem. Salvini ringhia: «Col Pd, mai». Il capogruppo della Lega al Senato, Centinaio, tuona: «Le parole finali di Berlusconi al Colle non rispecchiano la posizione della Lega, né quella del centrodestra che si è espresso in maniera unitaria e concordata». Ma il danno è fatto. Di Maio prende la palla al balzo per fare la vittima: il Cav ci attacca!, zero accordi!, mollatelo! I grillini dicono anche di voler studiare i programmi del Pd e del Carroccio. Chiedono tempo fino al 30 aprile, guarda caso dopo le regionali in Molise (il 22 aprile) e Friuli Venezia Giulia (il 29). Peraltro, il centrodestra conta di stravincere a Trieste e di giocarsela a Campobasso. I sondaggi sono positivi, anche a livello nazionale. Il Colle guarda l'orologio e fa cenno di muoversi. Salvini, che vedeva uno spiraglio, è nero. A Mattarella ha ribadito che senza numeri non muoverà un muscolo. Ma crede che sia ancora possibile un patto centrodestra-grillini, («Speriamo nel Vinitaly» ha detto, visto che lui e Luigino potrebbero incrociarsi a Verona come scritto ieri da Libero). Di Maio chiedeva al Cav un passo di lato. Gli alleati pensano che Silvio l'abbia fatto ieri. Mettendosi in fuorigioco. «Agli italiani cominciano a girare le palle» avverte Salvini. di Matteo Pandini

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