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Stato-Mafia, sulla trattativa di governo irrompe quella con Cosa nostra

Gino Coala
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Non è solo una decisione storica striata di politico, ammettiamolo. Non è soltanto una bomba sganciata al cuore aritmico delle istituzioni, alla sacralità del «corpo dello Stato», la sentenza della Corte di Assise di Palermo che condanna, assieme ai mafiosi, gli ex vertici del Ros e Marcello Dell' Utri, protesi extraparlamentare di Berlusconi (e che quindi, per sillogismo, condannerebbe moralmente pure Berlusconi...). Dopo anni di processi e migliaia d' imputati, di cadaveri, di fascicoli e riesami, la consacrazione giudiziaria della trattativa Stato/mafia non dà solo corpo a «ai rapporti esterni della mafia con le istituzioni negli anni delle stragi sotto i governi Ciampi e Berlusconi». No. Essa, oggi, letta in controluce, assume quasi la funzione di grimaldello per scardinare lo stallo tra Lega e Cinque Stelle nella formazione del nuovo governo. Quasi un' accelerata, dal tempismo innaturale, per eliminare del tutto Berlusconi dalla pochade delle consultazioni con la coda fra le gambe. Basta scorrere i commenti del Movimento. PARTE IL TWEET «La trattativa Stato-mafia c' è stata. Con le condanne di oggi muore definitivamente la Seconda Repubblica. Grazie ai magistrati di Palermo che hanno lavorato per la verità», twitta Luigi Di Maio. Ed ecco che gli si accodano gran parte dei Cinque Stelle che contano. Riccardo Fraccaro dice: «Dell' Utri fece da tramite tra Cosa nostra e Berlusconi: politicamente è una pietra tombale sull' ex Cavaliere. Ora Salvini decida». Carlo Sibilia scrive: «Berlusconi è una persona che deve sparire dalla scena politica nazionale». Di Battista rincara: «Ora il Caimano sarà ancora più nervoso. Il suo sistema di potere gli sta franando sotto i piedi...». E il tutto può esser interpretato sia come un invito affinchè la Lega si mondi dal peccato originale arcoriano; sia, soprattutto, come un sotterraneo sostegno a smuoversi verso il Pd. Se la lettura politica della sentenza si basa su una temperie di ammicchi e percezioni, quella giudiziaria è una mazzata. Gli ex vertici del Ros Mario Mori e Antonio Subranni sono stati condannati a 12 anni per minaccia a corpo politico dello Stato. A 12 anni, per lo stesso reato, è stato condannato l' ex senatore di Forza Italia Marcello Dell' Utri; a 28 anni, sempre per minaccia a corpo politico dello Stato, il capo mafia Leoluca Bagarella. Per lo stesso reato dovrà scontare 12 anni il boss Antonino Cinà. Otto anni all' ex ufficiale del Ros Giuseppe De Donno, per le stesse imputazioni. Massimo Ciancimino, figlio dell' ex sindaco mafioso di Palermo -che con ambigue rivelazioni nel 2008 riaprì il caso che era già stato archiviato per ben due volte- già accusato in concorso in associazione mafiosa e calunnia dell' ex capo della polizia De Gennaro, si è beccato 8 anni. Prescritte le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca. Assolto, invece (l' unico) dall' accusa di falsa testimonianza l' ex ministro Dc Nicola Mancino, la cui intercettazione con l' ex Presidente Giorgio Napoletano fu oggetto di burrascose polemiche. Oggi la trattativa Stato/mafia è comunque stata acclarata. DAGLI ANNI 90 E questo nonostante lo scenario storico-politico sia completamente cambiato rispetto rispetto agli anni 90, quando la miccia s' era accesa. Una miccia lunga. Antonio Ingroia, l' ideatore del teorema giudiziario sulla trattativa dello Stato con i boss non è più pm, è diventato un aspirante politico poi trombato e successivamente indagato egli stesso. Il suo successore, il pm Nino Di Matteo, si è trasferito alla Dna a Roma; ed è -guarda caso- considerato un potenziale ministro della Giustizia da molti grillini. I principali imputati boss, Bernardo Provenzano e Totò Riina, sono defunti. Inoltre esistono comunque delle sentenze a latere che ne avevano smontato l' impianto accusatorio: quella, per stralcio, dell' ex ministro Calogero Mannino; o quella del generale Mori, per la mancata cattura di Provenzano. E, se vogliamo, ci sono pure le sentenze di condanna, come quelle che sbugiardano, appunto, il teste chiave, Massimo Ciancimino. Ciononostante, fermo restando che la legge è legge, la tempistica rivela quasi un' efficienza inusitata per la giustizia italiana... di Francesco Specchia

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