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Fausto Bertinotti: "Grazie Berlusconi, ci hai allungato la vita"

Andrea Tempestini
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«Ahahahaha». Ma che cosa fa presidente, ride? «Per forza, i tentativi di formare un governo a cui stiamo assistendo sono puro avanspettacolo. Però piango anche a vedere la politica così impoverita e a pensare che la mia parte è scomparsa». Colpa anche sua? «È invece merito anche nostro se i comunisti italiani sono durati così a lungo, unici in Europa. Abbiamo resistito trent'anni dopo il crollo del Muro di Berlino e quaranta dopo la sconfitta del movimento operaio alla fine degli anni '80. Ancora nel 2005, Rifondazione era l'unico partito comunista ammesso a firmare il documento del forum altermondista di Porto Alegre. Sopravviviamo solo in Sud America». Potere al popolo ha preso l'1,2% il 4 marzo: non sono i suoi eredi? «Sono certamente interessanti, ma non possono essere i miei eredi perché il nostro mondo è politicamente morto». Che errori ha fatto: far cadere Prodi nel 1998? «Ma no, quella era un'occasione di rinascita. L'errore tattico fu sostenere il secondo governo Prodi, ma era uno sbaglio obbligato: dopo lo scontro drammatico nel nostro popolo seguito alla prima caduta di Prodi eravamo costretti ad aderire al tentativo di ricostruzione dell'unità delle sinistre che evitasse la vittoria di Berlusconi. Speravamo di poter influenzare il governo dall'interno, grazie alla pressione dei movimenti ecologisti, no tav e no global ma non ci eravamo resi conto che la democrazia si era impoverita e non consentiva più il dialogo tra società e istituzioni. L'errore vero però fu prima, ai tempi del G8 di Genova: c'erano milioni di persone in piazza, dovevamo sciogliere il partito e farlo rinascere nei movimenti. Abbiamo provato a tenere insieme le due cose, ma era impossibile». Poi è arrivato M5S… «No, i grillini non sono di sinistra, sono antisistema ma trasversali». Fausto Bertinotti è lucido e spietato, prima di tutto con se stesso e la sinistra. Ormai ha un approccio da storico alla realtà. «Ma non mi chieda come andrà a finire questo lungo show, perché proprio non lo so. Posso però dirle come, in tre mosse, siamo arrivati fin qui. Primo: l'agonia e il crollo dell'Urss ha trascinato con sé tutte le sinistre europee. Era imprevedibile, ma si è scoperto che comunismo sovietico e sinistra occidentale si tenevano l'uno con l'altra. Poco prima, in Occidente era iniziata quella che io chiamo la controffensiva del capitale, con il rovesciamento del conflitto di classe e la sconfitta delle masse dei lavoratori a beneficio della controrivoluzione capitalista. Le parlo dei controllori di volo in Usa, dei minatori inglesi della Thatcher, dei 35 giorni alla Fiat. Infine, la globalizzazione ha chiuso il cerchi e la società è tornata a dividersi tra alto e basso». Ma i minatori inglesi stavano male, i piloti Usa erano dei privilegiati e gli africani erano messi peggio di oggi e in Fiat prima c'erano le Brigate Rosse… «Qui emergono le nostre differenze ideologiche. Su ognuno di questi problemi la pensiamo diversamente. Lei ha tesi di destra, io credo invece che la sinistra avrebbe dovuto resistere e riscrivere il patto sociale allargando il conflitto anziché iniziare quella mutazione genetica che l'ha portata a inginocchiarsi di fronte al mercato e ha finito per distruggerla». È stato un tradimento? «No, si è convinta, ha aderito come un corpo inerte al pensiero unico delle élite e dell'Europa che, con i suoi parametri economici, il suo potere oligarchico e la sua burocrazia asettica, le hanno poi dato il colpo di grazia». Però fino a ieri in Italia c'erano Rifondazione e i girotondi, Vendola e Pisapia. Oggi resistono la Boldrini, i no-Tav, i giottini. La sinistra non è proprio defunta… «L'avvento di Berlusconi ha ritardato la morte della sinistra politica, che si è lentamente dissolta nell'antiberlusconismo, sostituendo al conflitto classico tra lavoro e capitale quello tra berlusconiani e anti-berlusconiani. Da lì hanno cominciato a confondersi i piani, la sinistra è diventata da garantista a giustizialista, da pacifista ad atlantista, da classista a governativa». Quanto c'è della sinistra rifondarola in Liberi e Uguali? «Nulla. Nella sinistra politica italiana, in ogni sua componente, in basso mancano il radicamento territoriale e l'insediamento sociale, in alto vertici maca di una cultura politica forte. LeU rappresenta la vittoria del pensiero debole che propone politiche di benpensanti. Anche battaglie necessarie, come quelle sui diritti civili, gli immigrati, le nozze gay, se separate dalla lotta per la giustizia sociale e l'uguaglianza, non sono in grado di costruire un'alternativa di società. Si tratta di radicali a cui manca la radicalità, come si è visto sullo ius soli, mollato sul più bello, ma non è neanche colpa loro». E di chi è colpa allora? «Per cosa è diventato il Pd, dire che si è alla sua sinistra non significa più nulla. I compagni di LeU sono figli di una sinistra che già aveva tradito se stessa per diventare establishment. Un processo partito con i governi di solidarietà nazionale e la critica interna al Berlinguer che riscopre le radici di classe del Pci , continuato con lo scioglimento del Partito Comunista e perfezionato da Prodi premier, che trasformò la sinistra in centrosinistra». Da dove può ripartire la sinistra? «Solo dalla consapevolezza di essere morta, ma in politica è difficile ricominciare perché ti dicono sempre che c'è qualcosa da salvare, ed è anche vero, ma non devi starli a sentire: per ricominciare devi guardare a ciò che è finito, non farti abbagliare da ciò che è rimasto, perché altrimenti ti trovi solo a gestire il declino. Il campo della sinistra oggi è occupato solo da macerie. La sinistra deve rinascere fuori da questa devastazione, facendo tabula rasa di quel che è restato». Immagino che per lei il Pd di Renzi non sia sinistra? «Il Pd e Forza Italia sono quel che resta della politica tradizionale, per questo sono stati sconfitti dal voto del 4 marzo. Sono alle prese con un problema di nuova fondazione, hanno un futuro incerto, non è detto che riescano a ripartire». Non ha risposto… «Renzi ha intercettato la voglia di novità in politica e ha provato a fare il Macron italiano. Solo che perché l'operazione gli riuscisse doveva lasciare il Pd. Rimanendoci, è diventato ostaggio dei vecchi meccanismi e così oggi la rottamazione è avvenuta, ma senza e contro di lui. Il suo referendum era davvero un'operazione molto ambiziosa, che proponeva la vittoria definitiva della governabilità sulla realtà sociale. Ma era un cambiamento imposto dall'alto. Infatti ha perso perché il No era il voto anti-establishment. La differenza con Macron e la Francia è che lì il populismo arriva dall'alto, secondo la tradizione bonapartista, qui parte dal basso». Lei è ossessionato dalla contrapposizione alto-basso… «Se i Parioli e Brera votano Pd e le grandi perifierie votano M5S e Lega significa che lo scontro che connota la fase attuale non è più tra destra e sinistra, Russia e Usa, Europa e Visegrad, ma essenzialmente tra l'alto e il basso della società. Ed è un conflitto tendenziale, non politico, tant'è che la gente ha votato i candidati di Cinquestelle senza neppure conoscerli. Quando vent'anni fa gli operai di Brescia, fortemente sindacalizzati, iniziarono a votare Lega benché iscritti alla Fiom, si iniziò a capire che l'elettore aveva cambiato paradigma e che la contrapposizione destra e sinistra era diventata secondaria nella scelta dell'urna. Viveva nella società ma sempre meno nella politica». Se Lega e M5S interpretano entrambi il basso, perché non riescono a mettersi d'accordo e a fare il governo? «Dietro a questi balletti di Salvini e Di Maio c'è una reale resistenza a governare come alleati. M5S e Lega hanno abbattuto insieme il vecchio sistema politico ma sono forze contendenti, non complementari. Se governano insieme rischiano di perdere il consenso, perché rappresentano territori diversi e interessi non conciliabili. Il Sud è alla deriva e chiede nuovo svluppo, lavoro e reddito di cittadinanza, il Nord è una società con profonde differenze ma attiva, vuole conservare ciò che ha ed essere liberata dalle tasse». E poi c'è il famoso veto grillino su Berlusconi… «Quella è una pantomima. La realtà è che i vertici di Cinquestelle hanno paura a governare perché temono di deludere. M5S può affrontare la prova del governo da solo perché in quel caso l'ebbrezza del potere conquistato permetterebbe al tuo popolo di scusargli anche l'inadeguatezza e il fallimento degli obiettivi, un po' come sta succedendo con la Raggi a Roma. Se però ti allei per ragioni di realismo, perdi la forza del patriottismo e l'elettore non ti scusa più nulla, perché rischi di trasformarti a tua volta in establishement ai suoi occhi». Vale lo stesso discorso per la Lega? «La Lega ha meno paura di governare, perché c'è abituata. Però anche la Lega non può andare al potere con M5S non solo perché tradirebbe la coalizione elettorale ma soprattutto perché gli elettori di centrodestra non gli perdonerebbero nulla. Oltre al fatto che lavora a una nuova identità sull'asse con Marine Le Pen e Orban e». Rebus senza soluzione? «Salvini è in una situazione contraddittoria: nel breve non gli conviene liberarsi della coalizione, nel medio conta di ingrandirsi mangiando gli alleati, con la tattica cinese della pazienza». E nel frattempo cosa succederà? «I due vincitori hanno cavalcato l'onda populista ma ora sembrano due surfisti spiaggiati. Ci sono due alleanze organiche possibili: Cinquestelle-Lega e Cinquestelle-Pd. La prima non si fa perché Di Maio ha paura e Salvini non può. La seconda non si fa perché M5S non vuole rinunciare alla propria trasversalità ed essere percepito solo come forza di sinistra. Ma soprattutto non lo può fare il Pd, che finirebbe in un abbraccio mortale». Quindi secondo lei ha ragione Di Maio: il centrodestra non esiste? «Esiste, ma è destinato a non esistere più. Bisogna stare attenti a non confondere ciò che resiste per interesse da quel che ha reale contenuto. Oggi non è importante fare politica ma solo vincere. Un tempo la politica era identitaria e si votava tutta la vita un partito anche se non si andava mai al governo, oggi si vota per vincere e basta. Siamo passati dai partiti che fanno le alleanze di governo al governo che plasma i partiti, crea e distrugge coalizioni. Da qui anche le centinaia di trasformisti in Parlamento». Cinquestelle si sta riplasmando ancor prima di arrivare al governo? «Sì, il governo è il grande dittatore. O forse farei meglio a dire l'Europa, che è l'oligarchia di pochi governi nazionali che plasma tutte le democrazie dell'Unione». di Pietro Senaldi @PSenaldi

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