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Alla fine Travaglio si tradisce:senza Esposito niente condanna del Cav

Travaglio, vicedirettore del

Il Manetta sul Fatto arroga a se e ai giudici "buoni" i meriti della decadenza di Berlusconi

Matteo Legnani
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Non andrà più in Senato (non ci andava mai) e starà a casa sua (ci stava sempre) e però qualcuno ha deciso che il film è finito, credendoci e non credendoci.  Solo il vignettista Vauro, sul Fatto Quotidiano di ieri, ha capito tutto: ha disegnato una coppia triste che stappa  uno champagne svaporato, tenuto in serbo per vent'anni. Sullo stesso quotidiano, affianco, il vicedirettore Marco Travaglio decideva invece di intestarsi la vittoria, meglio: «Il merito non è del Parlamento, ma di una serie di soggetti che stanno fuori, anzitutto un pugno di giornalisti, alcuni dei quali scrivono su questo giornale». Firmato Marco Travaglio: il quale, vent'anni fa, aveva ancora tutti i capelli e scriveva libri per la Mondadori del Cavaliere; mentre ora Travaglio, vent'anni dopo, ha molti meno capelli con Berlusconi che non solo ce li ha ancora, ma è a capo del partito dato per vincente alle elezioni. Ma queste sono sciocchezze. L'analisi di Travaglio è comunque interessante, val la pena di spenderci due parole.  Anzitutto Travaglio glissa sul dettaglio che Berlusconi, se davvero sparisse dalle prime pagine, farebbe decadere le copie del suo giornale e poi di tutti gli altri, come è accaduto da quando Monti si stagliò all'orizzonte: ma queste sono cose per addetti ai lavori. Travaglio, in secondo luogo, distribuisce medaglie un po' a casaccio: la disgraziata legge Severino, per esempio, a suo dire non sarebbe «merito» di Pd e Pdl che l'hanno votata (il centrodestra aveva la maggioranza nelle commissioni di Senato e Camera che se ne sono occupate) bensì del «martellamento» di Beppe Grillo e delle sue proposte, per quanto nessuno le abbia mai prese in considerazione. Anche le varie leggi europee che pre-esistevano ai martellamenti di Grillo, in realtà, non contano nulla: la professoressa Paola Severino, dopo una vita accademica, ha avuto bisogno del «V-day» del 2007 per trovare ispirazione. Evidentemente non gliel'ha offerta neanche Mario Monti, un altro che ieri offriva il petto alle medaglie: «Non è stata la sinistra, non è stato il Movimento 5 Stelle a portare a questo progresso. È stato un governo di grande coalizione, che io presiedevo, e che, sul finire del 2011, interpretando anche il desiderio di tutti partiti... ». La decadenza di Berlusconi, insomma, è merito di tutti, merito del mondo, una vittoria con mille padri. Ma Travaglio non è d'accordo, e da se stesso, estende le decorazioni anche ai magistrati, ovvio. Mica tutti. I magistrati buoni sono quelli che hanno sancito le condanne di Berlusconi (De Pasquale, d'Avossa, Galli) mentre i magistrati cattivi sono quelli che lo prosciolsero o che lasciarono prescrivere il processo Mills, per dirne uno: ma forse un giorno certe stranezze «troveranno una spiegazione e una sanzione per i responsabili». Niente resterà impunito. I buoni viceversa non hanno nulla da temere, hanno tirato diritto «senza raccogliere le infinite provocazioni dell'imputato e dei suoi onorevoli avvocati, sostenuti da sparuti settori della società civile». Sta parlando del diritto di difesa e del centrodestra. Ma anche queste sono sciocchezze: «Il merito più grande l'ha Antonio Esposito», chiarisce il nostro. Finalmente ci siamo arrivati.  Orbene, quali sono i meriti di Esposito? In sostanza - anticipiamo – sono l'essersi comportato eccezionalmente rispetto alla norma, l'aver riservato a Berlusconi una determinazione ad personam non fatta propria da altri giudici, da gente, cioè, che avrebbe rischiato di sottoporre il Cavaliere al banale destino dei cittadini normali: «Se Esposito si fosse voltato dall'altra parte, il processo avrebbe seguito i tempi normali: sarebbe stato assegnato alla III sezione della Cassazione, che aveva già confermato i proscioglimenti di Berlusconi nei processi milanese e romano per il caso gemello di Mediatrade». Sarebbe stato assegnato, cioè, a dei giudici cattivi che l'avevano già prosciolto in passato. E invece che cosa ha fatto, Esposito? Qui casca il Travaglio: dopo aver scritto che, senza Esposito, «il processo avrebbe seguito i tempi normali» (riga 54) Travaglio scrive (riga 70) che «Esposito trattò quel processo e quell'imputato come un processo e un imputato normali». Vabbeh, scrivere tutti i giorni è dura, non sempre si ha il tempo di rileggere.  Traduzione logica e nostra: Esposito ha fatto il diavolo a quattro per far condannare Berlusconi e alla fine c'è riuscito, riservandogli una prassi eccezionale pur all'interno dei crismi di legge: a costo di scrivere una sentenza di Cassazione che - aggiungiamo - è notoriamente una fotocopia dei primi due gradi. Forse il Paese ha bisogno di questo: di magistrati che facciano il diavolo a quattro con gli imputati che detestano, come Esposito aveva ammesso a convivio. A ciò segue lo scenario che Travaglio dipinge nel finale del suo articolo: Esposito, per aver fatto quello che ha fatto, è detestato dal Csm («proiezione ortogonale di tutti i poteri») in quanto «ha fatto saltare il patto non scritto su cui si reggevano le larghe intese». Cioè: Napolitano e Letta, con proiezione ortogonale nel Csm - in effetti Letta è un po' quadrato - volevano salvare Berlusconi riservandogli i tempi della giustizia che appartengono agli altri cittadini, ma per fortuna è arrivato il giudice Esposito che ha sventato ogni geometria e si è rifiutato di seguire i tempi normali, tanto che alla fine Berlusconi ha avuto tre gradi di giudizio in un anno. Così Travaglio, ma non solo lui. E chi sostiene tutto questo, oltretutto, va pure dicendo che Berlusconi non è più tanto lucido. di Filippo Facci

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