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Un motore di ricerca per il cancro. Google ci entra anche nel sangue

Nicoletta Orlandi Posti
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Da motore di ricerca delle informazioni a motore di ricerca di gravi patologie. Nel senso: Google, dopo esserci entrato nel cervello, ora ci entra nel sangue. L'idea esce dai segretissimi laboratori di Google X, la divisione scientifica più audace del marchio che ormai pare abbia in progetto di monopolizzare ogni aspetto o quasi della nostra vita. Il biologo molecolare Andrew Conrad, capo dal 2013 della divisione “Scienze della vita” di Google X, da bambino deve aver visto il film di fantascienza “Viaggio allucinante”, in cui un microscopico sottomarino veniva inoculato per curare un paziente gravemente ammalato. L'idea di Conrad gli somiglia: tramite una pillola, iniettare nella circolazione sanguigna delle nanoparticelle specializzate (2mila volte più piccole di un globulo rosso) in grado di legarsi chimicamente a cellule o a frammenti di Dna che denotino la presenza di gravi malattie come per esempio il cancro, o a fattori di rischio come placche di grasso che potrebbero determinare infarti o ictus. Un orologio computerizzato al polso del soggetto gli consentirebbe di controllare le nanoparticelle con un campo magnetico e, al momento opportuno, di chiamarle a rapporto nella zona del polso per sapere, con una tempestività che nessun altro sistema diagnostico può garantire, se annidate nel suo corpo vi siano le prime tracce di una minaccia per la salute. Il principio diagnostico è che le nanoparticelle legate a cellule o molecole malate o sospette non riuscirebbero a spostarsi normalmente e liberamente verso il polso al richiamo del soggetto, e questo indicherebbe un'anomalia. Altre nanoparticelle invece potrebbero semplicemente misurare i valori del sangue, come se si stesse facendo un'analisi permanente, in tempo reale. Il progetto è ancora in una fase di sviluppo, ma conferma la tendenza di Google a spostare i suoi interessi verso la ricerca medica. E anche come i colossi della rete si siano ormai trasformati in strutture tentacolari. Peraltro, proprio la comunità scientifica medica - come Paul Workman, capo dell'Istituto per la ricerca sul cancro di Londra - se da un lato incoraggia qualunque tecnologia che renda più tempestiva la diagnosi - visto che alcune forme di tumore, come quello al pancreas, vengono spesso scoperte troppo tardi - dall'altro giudica quasi futuristico il progetto di Google X, arrivando a domandarsi se non sia un caso di «sogno in opposizione alla realtà». La preoccupazione è che una diagnosi a uno stadio così iniziale - tolti gli eventuali casi di “falsi positivi” - potrebbe causare ansia e spavento nei pazienti, e portarli a cercare terapie non ancora necessarie. Insomma, il rischio è quello di creare un esercito di ipocondriaci, dei quali c'è già abbondanza: un conto è che alcune nanoparticelle si leghino a placche di grasso nel sangue, un conto è l'insorgere di un ictus - ma a questo dovrebbe ovviare un software che, analizzando i dati, valuti correttamente se il soggetto è in effetti a rischio. Conrad si è difeso anche dalle accuse di voler estendere il già vasto controllo di Google nelle nostre vite fin dentro il corpo: Google non intende vendere al consumatore o seguire direttamente il progetto, ma darlo in licenza a strutture mediche che possano autonomamente decidere di svilupparlo e impiegarlo. Nessuna dunque delle informazioni diagnostiche violerebbe la privacy per finire nei database di Google a fini di marketing, per avvantaggiare per esempio le case farmaceutiche. Google agirebbe come un produttore di farmaci, che mette sul mercato il suo rimedio, in questo caso uno strumento diagnostico, il quale però viene completamente gestito dai medici. Finché il progetto non troverà applicazioni concrete, sarà difficile valutare obiettivamente benefici e costi. Resta un fatto: la scienza, quando non osa, non progredisce, e ultimamente tutti i progetti più arditi sono venuti da quelle cittadelle della rivoluzione digitale che ha cambiato il mondo negli ultimi trent'anni. In tante cose hanno fatto centro, non è detto che ci riescano anche nel campo della salute. Ma hanno pochi rivali. di Giordano Tedoldi

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