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L'arteriopatia ostruttiva perifericacolpisce un sessantenne su cinque

Gli individui che ne soffrono hanno un rischio relativo di infarto del miocardio aumentato di almeno cinque volte e di 2-3 volte del rischio di ictus o di mortalità totale

Maria Rita Montebelli
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«La nostra è la società clinica in Italia che si occupa delle malattie vascolari ‘a tutto tondo' – spiega la dottoressa Adriana Visonà, presidente uscente della Società di Angiologia e Patologia Vascolare (Siapav) in occasione del 39° Congresso Nazionale della società scientifica appena conclusosi  a Roma – ovverosia si occupa di arteriopatie, tromboembolismo venoso, malattie arteriose infiammatorie e malattie dei linfatici, oltre a considerare gli aspetti metabolici e tutti i fattori di rischio per le malattie vascolari». L'arteriopatia ostruttiva periferica (AOP) nonostante la sua gravità, è poco riconosciuta. «È un tema che ci preoccupa molto – afferma Visonà – perché le AOP nell'ambito delle malattie vascolari sono molto diffuse. Si calcola che intorno al 60-65 anni una persona su 5 abbia questa patologia che può diventare invalidante: il paziente fa fatica a camminare o addirittura arriva a non riuscire a riposare la notte perché ha dolore o ulcere che possono portare anche all'amputazione. Anche quando le forme sono più lievi questa malattia comporta un alto rischio di mortalità cardiovascolare. Si tratta di una patologia molto comune ed è una manifestazione di aterosclerosi sistemica, generalmente è causata da un'ostruzione aterosclerotica delle arterie degli arti inferiori. È una patologia che aumenta con l'età e con l'esposizione a fattori di rischio noti come: diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, fumo, e così via. La manifestazione clinica più comune è la Claudicatio Intermittens che condiziona fortemente la qualità della vita dei pazienti e la loro capacità funzionale. Inoltre gli individui con AOP soffrono di un rischio relativo di infarto del miocardio aumentato di 5 volte e di 2-3 volte il rischio di ictus o di mortalità totale rispetto a individui senza AOP». “Il tromboembolismo venoso (TEV) invece rappresenta una delle più importanti cause di morbilità e mortalità nei pazienti con cancro e le manifestazioni cliniche più comuni sono la trombosi venosa profonda (TVP) e l'embolia polmonare (EP) - ricorda la professoressa Adriana Visonà - L'associazione tra malattia neoplastica e trombosi, appare avere un duplice significato. Infatti, non solo gli eventi trombotici possono essere una complicanza frequente nelle neoplasie ma i meccanismi di attivazione della coagulazione possono anche interferire con la crescita e la metastatizzazione del tumore. Oltre ad avere un rischio maggiore di sviluppare TEV, i pazienti con tumore hanno anche un maggior rischio di avere recidive di trombosi e complicanze emorragiche – continua Visonà – La trombosi può anche essere una delle prime manifestazioni cliniche di un tumore occulto e, anche in assenza di una trombosi manifesta, i pazienti oncologici mostrano diverse anomalie nei test di ‘routine' della coagulazione, facendo sospettare una condizione di ipercoagulabilità”. Un ruolo importante nella patogenesi dello stato di ipercoagulabilità presente nelle neoplasie è attribuito alle proprietà protrombotiche delle stesse cellule tumorali.

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