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“Stop alla sepsi!” È dell'Italiail primo documento in Europa

Ogni anno sono più di 5mila le vittime di questa grave emergenza sanitaria in Italia e i numeri sono destinati ad aumentare. Un documento di consenso si propone di arrestarla

Maria Rita Montebelli
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Proviene proprio dal nostro paese il primo documento di consenso a livello europeo per definire le procedure diagnostiche da mettere in campo per affrontare una emergenza sanitaria molto grave: la sepsi. Si tratta di una condizione che può diventare estremamente severa – tanto da mettere in pericolo la vita del paziente - e consiste nella disfunzione d'organo generata da una risposta anomala a una infezione. a sepsi costituisce, infatti, la settima causa di morte in Europa e in Nord America e, in Italia, ogni anno si registrano più di 5 mila vittime, ed è un numero destinato a crescere. La corretta diagnosi della sepsi rappresenta oggi la vera ‘urgenza-emergenza in laboratorio' e quindi l'anello debole che va identificato e corretto. Ed è proprio per far fronte a questo problema ancora irrisolto che un gruppo di esperti italiani ha puntato l'attenzione, nel primo documento di consenso a livello europeo – realizzato con il patrocinio dell'Associazione microbiologi clinici italiani (Amcli), della Società italiana di microbiologia (Sim), della Società italiana multidisciplinare per la prevenzione delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie (Simpios) e della Società italiana di farmacia ospedaliera (Sifo) e con il supporto incondizionato di Becton Dickinson – sulle procedure cui vengono sottoposti i pazienti nel percorso di diagnosi dell'infezione identificando le corrette modalità per individuare tempestivamente la sepsi e fornire delle linee guida su come effettuare una adeguata e standardizzata opera di formazione e informazione del personale sanitario coinvolto in questo processo.“La sepsi è ormai un'emergenza sanitaria, al punto che in un futuro prossimo i morti per sepsi supereranno quelli per patologia neoplastica. Si tratta di una disfunzione d'organo generata da una risposta disregolata dell'ospite ad una infezione – dichiara Bruno Viaggi, dipartimento di anestesia, neuroanestesia e rianimazione, azienda ospedaliero-universitaria Careggi, Firenze, membro del Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (Giviti), Istituto Mario Negri, Milano - La sepsi è una sindrome tempo-dipendente e se non trattata precocemente può evolvere rapidamente in shock settico che attualmente, nonostante i progressi ottenuti in ambito diagnostico-terapeutico, mantiene una mortalità sempre molto elevata pari a circa il 50 per cento dei casi”. L'emocoltura, ossia l'isolamento e l'identificazione di eventuali microrganismi presenti nel sangue, rappresenta l'esame cardine nella diagnosi di questa infezione. Il documento di consenso punta l'attenzione in particolare sulla corretta esecuzione dell'emocoltura individuando i principali punti critici che riguardano fondamentalmente la disinfezione della cute del paziente, il numero di campioni di sangue prelevati e la tempistica di consegna dei campioni ai laboratori di microbiologia.“L'emocoltura è un esame fondamentale per individuare la presenza di germi e rappresenta il gold standard per impostare una terapia antibiotica mirata. Purtroppo oggi l'esecuzione di questo esame non sempre è eseguito in modo conforme a quanto indicato dalle linee guida commettendo errori anche banali durante tutto il processo della sua esecuzione – precisa Viaggi - Se l'emocoltura non è eseguita correttamente, infatti, può diventare un esame del tutto inutile, vanificando tutto il percorso. Ad esempio, se il campione non viene inviato in laboratorio preferibilmente entro un'ora o al massimo entro 4 ore dal prelievo, il rischio è di avere una mancata positivizzazione del campione anche in presenza di patogeni. Questo conferma quanto sia importante il fattore 'tempo' nell'esecuzione di questo esame: solo una diagnosi rapida e tempestiva, infatti, può salvare la vita del paziente”. Numerosi studi condotti in pazienti adulti con batteriemia e fungemia hanno dimostrato che la quantità di sangue che viene prelevato è una discriminante importante per fornire il materiale necessario all'analisi microbiologica e quindi per la buona riuscita dell'esame. “Spiegandolo in parole semplici si può dire che se si preleva una quantità di sangue ridotta diminuisce la sensibilità del sistema diagnostico e quindi non si ottengono risultati attendibili. Ma anche se la quantità di sangue prelevata è eccessiva cambiano gli equilibri di rilevazione rendendo praticamente inutile l'emocoltura - commenta Roberto Rigoli, vicepresidente Amcli, direttore dipartimento di patologia clinica, Marca Trevigiana - Le linee guida riportate nel documento di consenso raccomandano che vengano riempiti almeno 4 flaconi, anche se in assenza di difficoltà tecniche o di altre problematiche il prelievo di 6 flaconi è da considerarsi ottimale. Troppo spesso, invece, ci si ferma al prelievo di due soli flaconi. Perché l'emocoltura dia risultati attendibili, preservando la sicurezza del paziente, è necessaria la consegna immediata dei campioni – continua Rigoli - Laddove i laboratori di microbiologia non sono aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, è necessario predisporre degli incubatori delocalizzati in cui lasciare i campioni appena prelevati in attesa che vengano effettuate le analisi”. Altro punto importante è la corretta disinfezione della cute del paziente e del personale sanitario, fondamentale per evitare che i campioni vengano contaminati da batteri e/o funghi presenti sulla pelle del paziente o sulle mani dell'operatore. “Eseguire una corretta antisepsi della cute del paziente è necessario affinché i microrganismi presenti sulla pelle non vadano ad inquinare il campione di sangue prelevato - conclude Gaetano Privitera, presidente Simpios, direttore unità operativa complessa igiene ed epidemiologia universitaria e coordinatore area funzionale rischio clinico, azienda ospedaliera-universitaria pisana - Il documento di consenso indica le modalità corrette per eseguirla come ad esempio la necessità di ricorrere a disinfettanti a base di clorexidina al 2 per cento in alcool 70 per cento e di non toccare il sito di prelievo dopo la disinfezione se non con guanti sterili”. (MATILDE SCUDERI)

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