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Più di metà degli emofilici convive col dolore cronico

Nasce il progetto Haemodol per far emergere l'importanza del dolore, capirne la causa e definirne la corretta gestione nelle persone con emofilia: da argomento quasi tabù, a 'sintomo sentinella' del danno articolare

Maria Rita Montebelli
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Più del 50 per cento delle persone con emofilia convive con il dolore cronico. Il dato emerge da uno studio internazionale recentemente presentato al congresso della World Federation of Hemophilia, ed è stato confermato anche da una recente indagine dell'Osservatorio Malattie Rare (OMaR) su un campione di quasi 100 pazienti con emofilia, che ha rilevato come il dolore impatti gravemente sulla qualità della vita delle oltre 5 mila persone che in Italia convivono con questa malattia genetica rara e cronica. Per gli emofilici over 25 - 84 per cento del campione intervistato - la malattia limita aspetti fondamentali della vita nel 54 per cento dei casi. Per questo 54 per cento di intervistati i limiti dipendono nel 52 per cento dei casi dal dolore dovuto ai sanguinamenti e ben nel 90 per cento dei casi dalle artropatie dolorose sviluppate negli anni. Per i giovani va meglio: solo il 33 per cento dichiara che la malattia limita fortemente la loro vita. Nella totalità dei casi, però, il limite dipende proprio dal dolore, in questo caso dal dolore acuto dovuto all'episodio emorragico. Le persone con emofilia tendono a considerare il dolore come un elemento ineluttabile, legato indissolubilmente alla malattia. Oggi però il dolore si può trattare correttamente e addirittura prevenire, per garantire loro una qualità di vita migliore. Proprio per questo nasce il progetto Haemodol: una nuova alleanza tra esperti, per far emergere la rilevanza del dolore, capirne la causa e definirne la corretta gestione nelle persone con emofilia. “Haemodol è un progetto nato dall'incontro fra un gruppo di ematologi, di terapisti del dolore, e la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti), promosso da Sobi Italia – spiega il professor Consalvo Mattia, anestesista rianimatore e terapista del dolore presso il Dipartimento di Biotecnologie e Scienze Medico-Chirurgiche dell'Università di Roma 'La Sapienza' - L'obiettivo è di avvicinare due mondi che sono sempre stati distanti e raramente hanno avuto contatti. Oggi, grazie a Haemodol, stiamo condividendo le nostre conoscenze con il proposito di mettere il paziente al centro, perché possa trovare un punto di riferimento costante nella gestione di un aspetto delicato come il dolore”. “La cultura della terapia del dolore, anche nel nostro ambito, fino ad oggi non è stata poi così approfondita – spiega Cristina Santoro, ematologa dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I di Roma - Sappiamo che non tutti i tipi di dolore sono uguali, ma il dolore deve comunque essere sempre considerato un importante campanello d'allarme. Il dolore negli emofilici adulti è dovuto maggiormente all'artropatia sviluppata negli anni; nei bambini, invece, il dolore è solitamente causato da un evento acuto, un emartro o un ematoma. Fortunatamente, grazie alla profilassi (cioè all'infusione regolare del fattore di coagulazione mancante a scopo preventivo), questi eventi acuti sono sempre meno frequenti”. Inoltre l'arrivo dei farmaci a emivita prolungata ci ha fornito un'arma in più molto importante nella prevenzione degli episodi emorragici e in particolare dei micro-sanguinamenti che sono meno visibili e quindi spesso sottovalutati, ma altrettanto dannosi per la salute delle articolazioni. Tali farmaci sono in grado di ridurre i sanguinamenti e l'artropatia correlata, con un numero di infusioni inferiore rispetto ai farmaci tradizionali. “Ciò ha un enorme impatto sulla qualità di vita dei pazienti: la riduzione delle infusioni – prosegue la Santoro - è più evidente per i farmaci a lunga emivita di FIX (emofilia B), che permettono di passare da due a una sola infusione settimanale per i bambini, e addirittura a una ogni due settimane per gli adulti, ma anche con i farmaci a lunga emivita di FVIII (emofilia A) è possibile ridurre le infusioni da tre a due a settimana, fino a una ogni 5 giorni nel 30 per cento dei casi. Il tutto offrendo una maggiore protezione del benessere articolare di questi pazienti”. “Molti emofilici, specie coloro che hanno più di 40 anni, hanno sviluppato danni articolari per cui alcuni di questi hanno problemi di deambulazione; problemi che i giovani di oggi conoscono parzialmente e che per fortuna saranno destinati a scomparire nel futuro. Io stesso – spiega Francesco Cucuzza, consigliere di FedEmo -  facendo profilassi, pur avendo un'articolazione compromessa, riesco ad avere una qualità di vita nettamente superiore al passato”. “Le persone con emofilia non devono convivere con il dolore, devono convivere con i loro familiari – afferma il professor Antonio Corcione, presidente Siaarti e direttore della U.O.C. Anestesia e Rianimazione dell'ospedale Monaldi di Napoli - e quindi noi dobbiamo avere l'obiettivo di eliminare il dolore, e lo possiamo fare. Prima interveniamo, migliori saranno i risultati che potremo ottenere, e intervenire prima vuol dire farlo con un'équipe: il lavoro d'équipe è indispensabile, ognuno può arricchire con la propria esperienza e la propria professionalità, quindi ritengo che sia la base moderna per poter lavorare". Il gruppo di studio Haemodol si riunisce periodicamente: negli ultimi mesi è stata avviata, su un gruppo molto ampio di ematologi, un'indagine attraverso la quale sono emerse le aree di miglioramento e le necessità riguardo alla gestione del dolore nel paziente emofilico, e sarà compito della nuova squadra di esperti trovare le giuste risposte. Terminata la parte di divulgazione e condivisione delle conoscenze, questi specialisti faranno il punto sulle indicazioni raccolte e in autunno pubblicheranno un position paper che conterrà le prime raccomandazioni mai stilate sulla terapia del dolore nelle persone con emofilia. Oggi in Italia la legge 38 del 2010 sancisce il diritto del cittadino all'accesso alle cure palliative e al trattamento del dolore, ma non sempre viene correttamente applicata. Il lavoro avviato con Haemodol sarà fondamentale per dare dignità anche al dolore nelle persone con emofilia, fino ad oggi senza molte risposte. “Per curarlo bisogna prima conoscerlo e interpretarlo – conclude Mattia - occorre prestare attenzione ai sintomi, utilizzare delle scale di valutazione e riportare nella cartella clinica il tipo di dolore riferito”. “L'impegno di Sobi sul tema del dolore ha le sue radici profonde nella nostra convinzione di doverci prendere cura della persona con emofilia in tutti i suoi aspetti e non solo della parte strettamente legata alla terapia – afferma la dottoressa Maria Tommasi, medical director di Sobi Italia - Oggi, grazie alla crescente conoscenza dei meccanismi che regolano il funzionamento dei processi coagulativi e alle implicazioni che i fattori hanno sul benessere osteo-articolare, possiamo affermare che laddove la persona con emofilia avverta dolore, significa che non è perfettamente protetta. Tutto ciò si traduce con il passare del tempo in un danno serio e irreversibile alle articolazioni. Se uniamo la capacità protettiva dei fattori a emivita prolungata alla nuova alleanza di esperti creata grazie a Haemodol, possiamo sicuramente aiutare le persone con questa patologia a soffrire meno e conquistare una migliore qualità di vita”, conclude Maria Tommasi. (MATILDE SCUDERI)

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