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Alessandro Sallusti contro Massimo D'Alema: "Ecco tutti i suoi scheletri nell'armadio"

Andrea Tempestini
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Dopo la decisione di affidare Silvio Berlusconi ai servizi sociali, Massimo D'Alema ha mostrato tutto il suo disappunto, commentando così: "Normali cittadini vanno in prigione per reati minori". Baffino, insomma, sognava un Cavaliere in cella. Una frase che ha fatto discutere e infuriare Forza Italia. E una dura risposta a D'Alema è arrivata da il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, che in un editoriale si rivolge all'ex premier, ricordandogli in primis che "onestamente non conosco casi di normali cittadini che all'alba degli 80 anni scontano nove mesi di condanna chiusi in carcere". Chi non paga - Poi Sallusti alza il tiro: "Ma, ignoranza a parte, chiedo a D'Alema: un 'normale cittadino' che incastrato dai magistrati ammette di aver incassato e girato al partito una tangente da 20 milioni di lire deve restare a piede libero?". Il riferimento è alla mazzetta presa nel 1985, un reato "più che provato" che finì in prescrizione. "Già - continua Sallusti -, perché D'Alema non ha pagato il conto, né giudiziario né politico (è addirittura diventato primo ministro). Il direttore continua nel suo attacco: "Lui stesso (D'Alema) da sempre non si tratta da 'normale cittadino', prova ne è il caso di Affittopoli: casa di lusso ad affitto ridicolo da ente pubblico, alla faccia dei poveri cristi 'normali cittadini'". E l'Ingegnere... - Scheletro dopo scheletro, Sallusti arriva fino a far saltare fuori dall'armadio Filippo Penati, l'ex presidente della Provincia di Milano: "Colpisce poi che il rigore morale di D'Alema non sia emerso con forza quando il compagno Penati (...) venne beccato a intascare mazzette". "Penati l'ha sfangata: niente cella, niente condanna. Altra prescrizione nel silenzio di D'Alema". Ultimo, ma non ultimo, il riferimento a Carlo De Benedetti. "Nel 1993 - ricorda Sallusti - ammise di aver pagato 10 miliardi di lire in tangenti a partiti e funzionari per ottenere dallo Stato un appalto per la sua azienda, la Olivetti. Roba da prigione - sottolinea il direttore de Il Giornale -, per chiunque. Finì con un'ora, dicasi un'ora, di fermo in carcere e una assoluzione per prescrizione". Dunque, la conclusione. "Ha ragione D'Alema. Non tutti i cittadini sono uguali. Soprattutto se si chiamano Silvio Berlusconi: 43 processi in 18 anni sono davvero un trattamento eccezionale".

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