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L'asse tra Giorgio Napolitano e Matteo Renzi costringerà il governo alla patrimoniale

Andrea Tempestini
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Poiché era da un po' di tempo che si limitava a fare il presidente della Repubblica «normale» - a parte l'impuntatura sulla conferma di De Gennaro alla presidenza di Finmeccanica - in quest'ultima settimana Napolitano si è rimesso la corona politica e ha alzato la voce. Non ce la faceva proprio a vedere quel diavolo di Renzi agitarsi tra promesse economiche, jobs act e manovre; così, di punto in bianco (apparentemente, come spiegheremo a breve), ha voluto sapere di più sulle coperture del decreto Irpef e ha convocato al Colle Pier Carlo Padoan. E solo dopo - cioè ieri - ha incontrato il premier per avere informazioni sulle riforme. In un Paese normale, un Capo dello Stato normale avrebbe normalmente chiamato o convocato il premier per entrambe le questioni. Con Monti e Letta funzionava così. Cos'è accaduto stavolta? L'uno-due non ha sollevato osservazioni particolari: purtroppo siamo abituati al presidenzialismo de facto di Napolitano. In questi anni quirinalizi dove addirittura si sono visti governi formati e telecomandati dall'alto e dove s'è visto un insolito bis glorificato con la panzana dell'emergenza nazionale, la doppietta Padoan-Renzi appare poca roba. Invece così non è. Spieghiamo. Da quanto ci risulta, Napolitano sarebbe andato su tutte le furie per la lettera del governo italiano all'Europa sul mancato raggiungimento del pareggio di bilancio nei tempi previsti e concordati da Letta (garante lo stesso capo dello Stato). Una lettera firmata da Padoan ma «sotto dettatura» politica di Renzi, il quale sta cercando disperatamente soldi per le coperture dei decreti in corso e prossimi. Di quella decisione, Re Giorgio non ne sapeva nulla. Se non a cose fatte. Napolitano si sarebbe rivolto direttamente a Padoan, col quale ha rapporti di vecchia data (tanto che si era scritto che il ministro dell'Economia fosse una scelta personale del Capo dello Stato non potendo contare sulla conferma di Saccomanni) dandosi appuntamento nei giorni successivi per un'attenta esamina del decreto. Il tono con Padoan sarebbe stato fermo e duro: State dando un brutto segnale alla vigilia del voto europeo - avrebbe commentato - Così non si fa. In tempi normali questi scambi di informazione accadevano per lo più attraverso staffette: quante volte in passato Napolitano aveva ritardato la firma a un decreto sottoponendo il testo a continue navette Palazzo Chigi-Quirinale. In questo caso no. Napolitano ha voluto vedere di persona Padoan, lo ha convocato perché si sapesse e si vedesse, come già fece quando (eravamo nelle ultime fasi di quel governo) Berlusconi era premier e all'Economia c'era Tremonti. Chiamando Padoan, Napolitano ha voluto dividere il governo e avvisare Renzi sulle politiche economiche. Non solo. Pure sulle riforme Re Giorgio ha bacchettato Renzi, come a dirgli: Ti sei fidato di Berlusconi? Bene, adesso ti trovi nella palude. Mai come in questi giorni la tensione tra capo dello Stato e presidente del Consiglio è alta. «Da solo non vai da nessuna parte», è il sottinteso di questo doppio faccia a faccia. Napolitano è andato a colpire Renzi nel suo lato debole, cioè l'arrivo a Palazzo Chigi senza il passaggio elettorale. Renzi non può dimenticare che deve condividere tutto, in nome della politica larga. E se il premier rompesse tutto e andasse al voto anticipato in autunno? Difficile. Per due motivi. Primo, la legge elettorale è in alto mare adesso, figuriamoci dopo le Europee. Secondo, in estate il governo dovrà mettere in cantiere una manovra economica correttiva per sanare i buchi degli spot renziani. Questo, infatti, sarebbe stato il succo dell'incontro tra Napolitano e Padoan cominciato dalla lettera all'Europa sul pareggio di bilancio. Al ministro dell'Economia è stato ordinato di accelerare con il risanamento del debito pubblico. Il Colle sarà l'avversario più ostico per la Renzinomics. Chi conosce il Capo dello Stato riferisce ragionamenti sulla «similitudine pericolosa» tra il berlusconismo e il renzismo, e sull'Italia che non può disallinearsi rispetto all'Europa «facendo di testa propria». Proprio per questo Napolitano non si dimetterà facilmente: finché avrà le forze, userà il «suo» presidenzialismo per piegare i politici italiani alle ragioni di Bruxelles. «Per il bene degli italiani è meglio che l'Europa venga prima dell'Italia» è solito ripetere Napolitano nei suoi discorsi politici. di Gianluigi Paragone

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