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Giancarlo Perna: ritratto di Angelino Alfano, l'ex enfant prodige naufragato con Mare nostrum

Giulio Bucchi
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Più passa il tempo, più cala la percezione di Angelino Alfano. Era l'enfant prodige del berlusconismo che, a soli 44 anni ancora da compiere, ha già ricoperto ruoli degni di un veterano di successo: Guardasigilli, ministro dell'Interno, vicepresidente del Consiglio. In lui però la presunzione prevale sulla sostanza. Nel 2005, Angelino, allora nella manica del Cav, fu nominato coordinatore di Forza Italia in Sicilia. Il predecessore, Gianfranco Miccichè, gli consegnava un partito trionfante che nelle elezioni del 2001 aveva conquistato i 61 seggi in palio nell'isola. Angelino dilapidò in breve l'eredità. Sbriciolò Fi in correnti e la condannò all'irrilevanza siciliana dalla quale non si è più ripresa. Nel 2011, il Berlusca ripeté l'errore su scala nazionale. Abbindolato da Angelino, maestro di moine, lo designò segretario del Pdl facendolo eleggere per acclamazione dal Consiglio nazionale. Due anni dopo (novembre 2013), proprio lui che da segretario aveva il compito di tenere unito il partito, lo spaccò per fondarne uno suo: Ncd. Fece la figura del custode che ruba. Vediamo ora il ministro. Alla Giustizia, con Silvio Berlusconi premier, doveva fare la riforma delle toghe e non l'ha fatta. In tre anni (2008-2011), l'ha annunciata diciotto volte - contate da me, una per una -, dando buca ogni volta. I soli provvedimenti che ha preso sono quelli contro i mafiosi, aggravandone il già inumano carcere duro. Disposizioni contrarie ai principi liberali ai quali il governo di centrodestra diceva di ispirarsi ma che permettevano ad Angelino di conquistare il favore degli antimafiosi professionali delle procure di Palermo e dintorni (Ingroia & soci). Un impulso di Alfano è infatti quello di essere in sintonia con i forti. E questo è umano. Ma tende anche a infierire su chi è in disgrazia. Come accadde l'anno scorso col caso Shabalayeva in cui anziché fare mea culpa scaricò tutto sul suo capogabinetto, Giuseppe Procaccini, licenziandolo. E questo è meno bello. Come ministro dell'Interno, nei governi Letta e Renzi, la fama di Alfano è legata - oltre alla appena evocata vicenda della cittadina kazaka maltrattata - all'invasione di immigrati con l'operazione Mare nostrum. Un giorno si pavoneggia per le vite salvate, l'altro si lamenta di essere lasciato solo dall'Europa. Ma di che ti duoli, vanitoso Angelino? Inneschi un meccanismo che quintuplica gli arrivi, lo scafismo, le morti in mare, poi piagnucoli perché altri non vogliono sobbarcarsi il casino combinato da te? Ora, però, sembri rasserenato perché tra un paio di mesi, pare, l'Ue con Frontex plus affiancherà - o sostituirà, non si è capito - l'Italia nei soccorsi. Domanda: ma i clandestini raccolti dai bastimenti europei saranno poi avviati altrove o continueranno a essere tutti affastellati qui in Italia? Non vorremmo, conoscendoti, che tu abbia fatto le cose a metà: risparmiando sì dei denari ma moltiplicando gli sbarchi da noi con le navi Ue, magari in aggiunta alle nostre. Per concludere sui talenti del fu enfant prodige, va detto che pure Ncd, di cui è leader, non scoppia di salute. È vero che Angelino non perde occasione per attribuire a sé e al suo partito i presunti meriti del governo Renzi, ripetendo che senza di loro Matteo non farebbe un passo. Ma le vanterie stanno a zero. L'umore di Ncd è bigio e l'ultimo sondaggio lo dà al 2,2. È la metà di quanto ha preso alle elezioni europee tre mesi fa. Per non parlare dei sussurri su tresche con i berlusconiani per propiziare clamorosi rientri ad Arcore addirittura dalla Calabria, roccaforte dell'alfanismo. Anche qui, insomma, non sono rose e fiori. Cosa resta dunque di Angelino? Parla e si presenta con decoro, è preparato, buon padre di famiglia ed è sicuramente un siciliano allergico alle coppole. «La mafia fa schifo» è il suo motto, tanto fortunato da essere riprodotto su migliaia di tshirt in Sicilia. È, insomma, un uomo dabbene, per dirla all'antica, ma anche, sempre con vecchio linguaggio, un filisteo. Tra i suoi colleghi ha fama prevalente di persona ambigua. Per conquistarti, dà a intendere che è pazzo di te e parte anche per Mosul se glielo chiedi, ma poi tira l'acqua al suo mulino. Di gente che ha rinnegata dopo averla strizzata, è costellato il suo cammino. Tra gli altri, il già citato Micciché, ex pezzo da novanta di Fi, cui deve l'ingresso nella corte berlusconiana. «Hai un ragazzo bravo?», gli chiese il Cav un giorno dovendo sostituire, Nicolò Querci, suo segretario storico. «Eccome!», rispose Miccichè e gli presentò Angelino che grazie a lui era già stato consigliere provinciale di Agrigento, la sua città, poi consigliere regionale e che, proprio in quell'anno, 2001, approdava a Montecitorio (tra i 61 eletti della Sicilia). Fu così che Alfano, con mansioni di segreteria, divenne il pupillo del Cav. Diventato potente, mise prima in cattiva luce e poi silurò Micciché che un giorno lo apostrofò: «Ti odio Angelino. Mi hai fatto scoprire un sentimento che non conoscevo». Gli ex amici che si sentono traditi sono legioni. A Palermo è stata addirittura costituita l'Arva, Associazione regionale vittime di Alfano. La quale, quando lo scorso anno Angelino ruppe anche con il Pdl, proclamò socio onorario lo stesso Berlusconi aggiornando il nome in Anva, Associazione nazionale vittime Alfano, per tenere dietro al più ampio raggio d'azione del micidiale agrigentino. Alfano afferma di essere nato politicamente con una cotta per il Cav. «Nel '94 - ha raccontato - mi sono unilateralmente innamorato di Silvio Berlusconi. Innamoramento da tubo catodico: ho aderito a lui vedendolo in tv». In realtà, le sue prime esperienze erano state nella Dc. Ne ha respirata l'aria in casa ad Agrigento, di cui il padre, Angelo, fu vicesindaco scudocrociato. A sedici anni, nel 1986, Angelino lesse un libro inadatto alla sua età, Intervista sulla Dc. Un dialogo tra De Mita e Arrigo Levi, in cui Ciriaco sciorina i suoi «raggionamendi». Come ogni lettura inappropriata, anche questa ebbe effetti deleteri sul giovanetto che si incapricciò del nuschese. Incassata la promessa dei genitori che, terminato il liceo, lo avrebbero mandato alla Cattolica di Milano da convittore, così come aveva fatto De Mita, volle conoscerlo de visu. Partecipò così alla crociera dei giovani dc, Genova-Palermo, con Ciriaco a bordo. Angelino si pavoneggiò sul ponte finché gli riuscì di agganciare il capo e all'istante divenne un demitiano al cubo, ossia un dc di sinistra. Un testimone, il futuro senatore, Paolo Naccarato, raccontò anni dopo: «Alfano aveva un perenne sorriso a trentadue denti. Era già allora un berlusconiano». Tornato a casa, si gettò nella militanza. Diventato segretario provinciale dei giovani, Angelino si legò a un pezzo grosso del movimento: Enrico Letta di quattro anni maggiore. I due rimasero uniti anche dopo il seppellimento della Dc. La comune democristianità spiega perché per fare il ministro di Letta, Alfano abbia rotto con Berlusconi. È invece frutto della sua disinvoltura opportunistica il passaggio da Letta a Renzi senza fare una piega. di Giancarlo Perna

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