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Selvaggia Lucarelli e la figlia "maschio" di Angelina e Brad

Lucia Esposito
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Su Angelina Jolie non ho mai avuto un'opinione definitiva. Mi è sempre sembrata un personaggio ambiguo e controverso. Secondo gli scambi di mail dei produttori della Sony (quelli smascherati dagli hacker probabilmente nordcoreani) è «senza talento, viziata e con un ego scatenato». Poi c'è l'infanzia turbolenta, la relazione emo-narcisistica con Bob Thortnon con tanto di fialette di sangue al collo, le dichiarazioni sulla sua bisessualità, i baci in bocca col fratello davanti ai flash dei fotografi. C'è però anche un'altra Angelina, quella che è ambasciatrice dell'UNHCR, quella che adotta bambini, quella che devolve i cinque milioni dell'esclusiva del suo matrimonio alle associazioni benefiche. Ecco, decidere se la Jolie sia la strega di Maleficent o la meravigliosa madre di Changeling, per citare due suoi ruoli fortunati al cinema, mi è sempre risultato difficile. Poi ho visto le foto di Shiloh alla prima di Unbroken con la cravatta nera, il completo grigio scuro e quel taglio di capelli che aveva il papà Brad in Vi presento Joe Black. Sono rimasta interdetta. Ho pensato all'ennesimo egocentrismo di mamma Angelina proiettato sulla figlia più bella. Ho pensato alla ricerca dell'originalità a tutti i costi. E invece, proprio mentre il mondo commentava il look androgino della bambina (chi con durezza, chi con ironia, chi con velate allusioni), qualcuno è andato a ripescare alcune parole dei genitori, pronunciate qualche anno fa. «Shiloh si sente un ragazzo, si fa chiamare John», «Abbiamo deciso di assecondarla tagliandole i capelli e vestendola da ragazzo, vuole somigliare ai suoi fratelli». E infine, le parole di Angelina: «Rispettiamo le sue scelte». E allora ho deciso che Angelina è una grande donna. Che le sue battaglie per i diritti dei gay non sono uno dei tanti spot autopromozionali che piacciono alle star per rinfrescare l'immagine. La Jolie è una donna e una madre coraggiosa, che ha scelto di mostrare la figlia per quello che è, sapendo bene che i giornali avrebbero per la prima volta scomodato la parola «transgender». Sarebbe stato più facile tacere, nicchiare ancora per qualche anno, lasciare Shiloh a casa anziché portarla a una prima o infilarla a forza in un vestito un po' più femminile. Sarebbe stata una scelta molto ipocrita ma molto hollywoodiana, quella di nascondere la polvere sotto la statuina dell'Oscar. E invece la Jolie ha portato la piccola Shiloh alla prima di Unbroken, che neanche a farlo apposta vuol dire «indomito». Ed è proprio così, con un piglio fiero, indomito, quasi adulto, che è apparsa la bella Shiloh accanto ai suoi fratelli. Come se stesse già rilasciando la sua prima dichiarazione pubblica, come ci stesse guardando tutti per dirci «Ehi, chiamatemi John». Allora sono andata su google immagini e ho cercato le foto di John per capire quand'è che avesse smesso di essere Shiloh, per capire se ha ragione chi dice che è un capriccio, chi afferma che a quell'età l'identità sessuale non è formata, chi la trova una forzatura e ho visto che Shiloh forse non è mai esistita. C'è una foto della bambina, ancora piccolissima (forse ha un anno) in braccio a papà Brad con una bambola in mano. Poi di bambole non se ne vedono più. Shiloh-John, anno dopo anno, indossa felpe con le macchinine, scarpe da ginnastica, pantaloni militari, cappellini con la visiera, t-shirt di band musicali, polo e sfoggia sempre capelli corti. A quattro anni, forse prima, lei già si sente John. Ho letto le parole della psicologa, ieri su Libero. Dice di non credere che una bambina di 8 anni abbia coscienza di cosa sia l'identità sessuale. Che lasciare libero un bambino di 4 anni è sbagliato e che quella non è libertà, la libertà si conquista quando si ha la conoscenza delle cose. Mi permetto di replicare alla psicologa che è quando si ha conoscenza delle cose che si è soggetti a condizionamenti, al limite. Mio figlio, un maschio, ha sempre portato i capelli lunghi. Gioca con mostri e soldatini, si veste da maschio, ma gli piacciono i capelli lunghi da sempre e non c'è verso di tagliarglieli. Adesso, a nove anni, comincia a pensare di tagliarli perché continuano a dirgli che sembra una femmina, ma finché era molto piccolo, di quello che pensavano gli altri non gliene fregava assolutamente nulla. Non ha mai subìto alcun condizionamento. Mi chiedo poi se la psicologa abbia visto il video divenuto virale postato dalla famiglia americana Whittington, in cui il papà del piccolo Ryland racconta come suo figlio transgender, nato femmina, abbia imparato a parlare tardi a causa dei suoi problemi di udito e le sue prime parole siano state «I'm a boy». Racconta l'iter travagliato, i dubbi, i pianti della figlia che si sentiva figlio e della decisione di assecondare il cambio di sesso quando lui e sua moglie hanno scoperto l'alto tasso di suicidi tra persone transgender. Mi domando come la psicologa possa pensare che dietro a casi del genere possa celarsi un condizionamento o addirittura una scelta.  Shiloh ha dei fratelli maschi, certo, ma il discorso «emulazione» è psicologia da bar. Io anche ho due fratelli maschi ma al massimo ho giocato con qualche Playmobil, di sicuro non chiedevo di essere chiamata Giovanni e preferivo le gonne ai pantaloni mimetici. E poi diciamolo: chi sceglierebbe razionalmente di intraprendere un cammino così complesso e doloroso da un punto di vista emotivo, fisico e sociale? Shiloh non ha mai deciso nulla. La vita aveva già scelto per lei. Brad e Angelina sono meravigliosi nel lasciarla libera di essere John. E perdonatemi, ma trovo immensamente più bella e naturale Shiloh-John Pitt nella sua giacchetta scura e lo sguardo coraggioso, che una Suri Cruise già con i tacchi, i vestitini rosa confetto da duemila dollari e lo sguardo da smorfiosetta viziata. Shiloh a otto anni è già se stessa. Suri Cruise, a otto anni, è già quello che vuole Hollywood. E io non sono certa su chi sia destinata a essere più felice delle due, ma scommetto cento dollari su John. Selvaggia Lucarelli

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