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Mattia Feltri racconta Il Foglio e Giuliano Ferrara

Lucia Esposito
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Una delle firme storiche de Il Foglio racconta Il Foglio dopo le dimissioni del direttore Giuliano Ferrara.. E' Mattia Feltri che, per il settimanale Tempi, ha ripercorso i suoi anni accanto all'Elefantino. Feltri, oggi firma de La Stampa, ricorda quando quelli del Borghese confezionavano numeri zero. “Dalla sera alla mattina ci ritrovammo arruolati in una cosa che si chiamava Foglio: Ferrara non cercava che una sede e un manipolo di ragazzi di bottega per realizzare l'idea partorita da Beppe Benvenuto, un quotidiano di quattro pagine con l'ambizione di spiegare le notizie anziché darle”. Mattia ricorda tutte i suoi esordi, quando”partecipavo alle riunioni e capivo si è e no il 20% di quello che si diceva”, le “lezioni di Ferrara: “Ci spiegava – una sola volta – che quando si fa cronaca non si usano gli avverbi, che i virgolettati sono sacri (mica i virgolettati creativi della retroscenistica di oggi), che le cose non si guardano soltanto da davanti ma di lato, di dietro, da sopra, che vanno banditi i luoghi comuni (patate bollenti e fili del rasoio), che quando si sbaglia si accettano le rettifiche e si chiede scusa. Ci insegnò, senza dirlo, che i tumulti moralizzanti sono pappa per furbini e per illusi, e che la moralità è uno sforzo su di sé costante e silenzioso. Ci formò come giornalisti, il che vuol dire averci formato come persone”. Complesso di superiorità - Mattia Feltri ricorda la “cura maniacale con cui Ferrara “leggeva ogni riga prima che andasse in stampa, raccontammo un mondo diverso da quello degli sceriffi e dei tagliagole rappresentato dall'epica infantile di Mani pulite”. C'era un clima di grande amicizia al Foglio dei primi anni. La sera si andava a giocare a calcio, “perdevamo 15-4, ma avevamo una divisa nera elegantissima, e ci sembrava molto più importante. Si organizzavano cene a casa di Filippo Facci, giornalista formidabile, a base di polenta e gorgonzola”. Mattia Feltri fa anche autocritica: “Eravamo così giovani, così applauditi, che sviluppammo un orrendo complesso di superiorità, difettaccio che continua ad accomunare quelli del Foglio, passati e presenti. Ma non ce ne importava nulla, eravamo un clan, Giuliano era il capobranco indiscusso e divinizzato, gli dovevamo la vita e avevamo la certezza che il Foglio non sarebbe esistito senza di lui, verità così lampante che lui soltanto poteva ribaltare. Mi rendo conto che la sfilata di aggettivi rischia di sfondare i confini del ridicolo, ma è la nostra vita, e quegli aggettivi ne fanno parte anche con il carico di ridicolo a cui nessuna vita sfugge. Una storia infinita - Poi una rivelazione: qualche giorno fa Ferrara lo ha chiamato gli ha mandato un sms: “È stata una bellissima storia, e non è finita”. Mattia Feltri è d'accordo: “Noi siamo andati al Corriere, alla Stampa, al Giornale, al Sole, alla Rai, a Mediaset, a Panorama, persino al Fatto e alla Repubblica, siamo andati dappertutto portandoci appresso un pezzetto di Foglio e un pezzetto di Giuliano. Per quel che siamo capaci, continuiamo a raccontare il mondo osservandolo da sopra, da sotto, di lato, guardati un po' di sbieco e sopportati come i vecchi rompipalle che siamo”.

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