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Ivana Spagna, la confessione: "Stavo per suicidarmi, avevo già aperto la finestra..."

Davide Locano
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Ivana Spagna, a 62 anni, resta un'icona della musica dance nel mondo. Quasi 12 milioni di dischi venduti, 5 Sanremo, una vittoria al Festivalbar, il sorpasso in classifica su Michael Jackson e Madonna, due hit planetarie Easy Lady e Call Me e Il cerchio della vita («Elton John cercava la voce di Madre Natura, sono felice l'abbia identificata nella mia», ricorda) nel film il Re Leone scelta tra tutte le migliori italiane, Pausini compresa. Nella sua abitazione di Como è alla ricerca di nuove melodie: «Dopo qualche anno di silenzio creativo mi sono ritrovata con un mondo di parole da esprimere, stimolata dalle migliaia di persone che ogni sera vengono ai miei concerti. Sono l'antidiva per eccellenza, ho sempre voluto cantare e basta. E per riuscirci ho fatto la gavetta, quella tosta». Ce la racconti. «Per 12 anni col mio gruppo ho lavorato duro nelle discoteche. Caricavo e scaricavo il furgone, montavo gli impianti, pulivo il palco prima e dopo e cantavo per 6 o 7 ore. Avevamo cura di tutto perché quel tutto lo avevamo acquistato con le cambiali. Per molti anni io e il mio compagno di allora abbiamo vissuto in un appartamento dove i tavolini erano cassette delle frutta, il letto matrimoniale due reti legate con lo spago e l'armadio un insieme di assi con un telo a proteggere dalla polvere le nostre poche cose. Però sono stati gli anni più belli della mia vita». Una famiglia povera ma con una grande ricchezza: l'amore di mamma e papà «Vivevamo a Borghetto, una frazione di 300 anime di Valeggio sul Mincio, nel veronese. Mamma Gemma e papà Teodoro si sono sacrificati per me e mio fratello Giorgio, insegnandoci che l'onestà, il rispetto e l'amore sono il cibo che nutre anche nei giorni magri. Mio papà si è ritrovato a fare l'operaio nel caseificio di cui, in origine, era proprietario. Si è umiliato e si è riempito di debiti per non farci mancare nulla». Nel suo curriculum c'è anche un anno da segretaria d'azienda. «Ho rischiato l'esaurimento nervoso. Non potevo stare ferma su una sedia a fare fatture e conteggi, dovevo creare e cantare come già facevo da bambina, grazie a un pianoforte entrato in casa. A 18 anni e mezzo chiesi ai miei la possibilità di trasferirmi a Reggio Emilia dal mio primo fidanzato Larry, lì ci raggiunse anche mio fratello: insieme abbiamo formato un gruppo dance che ha girato tutte le discoteche». Nel 1986 arrivò Easy Lady.... «Fu snobbato dalle etichette italiane che non davano possibilità a una cantante italiana che si chiamava Spagna e cantava in inglese. L'abbiamo stampato noi e per caso 10 copie sono finite in Francia scatenando il putiferio. Tutti lo chiedevano nei negozi, iniziammo a stampare a raffica: 500, 1000, 1500 copie... Non ci stavamo più dietro, ma a quel punto avevamo la coda per chiederci un contratto e firmammo con la Sony». Nel 1995 Pippo Baudo la volle a Sanremo: Gente come noi, terza classificata, la sua prima canzone in italiano. «Il mio produttore di allora disse che non sapevo scrivere in italiano e che aveva lui la canzone giusta per me. La provai, non mi entusiasmava e Pippo disse che non era quella la Spagna che voleva. Mi sono messa al piano ricordando una situazione che avevo vissuto con Larry, non stavamo più insieme ma continuavamo a volerci bene. In un'ora o poco più uscirono testo, armonia e melodia». Lei canta sempre l'amore ma non le manca una sua famiglia? «Ho avuto storie importanti, ma penso di essere stata penalizzata dalla bella famiglia che ho avuto alle spalle. Il confronto è sempre stato con quegli anni da fiaba, mi dicevo sempre che poteva arrivare qualcuno di meglio e così ho cercato all'infinito. Ma non ho rimpianti, ho una famiglia allargata di gatti e cani da accudire e persone a cui voglio bene. La solitudine a volte mi stritola, ma poi passa con un pianto liberatorio». Alla morte di sua mamma, toccò il fondo. «Avevo già perso mio padre, con lei ero al capolinea. Ero in tournée, non potevo annullarla, perché non potevo far perdere il pane a chi lavorava con me. Sono andata avanti a 4 Tavor per notte, alla fine del tour ero debilitata nell'anima e nel corpo. Mi sono chiusa in me stessa, volevo farla finita. Incrociai lo sguardo di una mia gattina che, aprendo la finestra, sembrava chiedermi con chi sarebbe rimasta. Capii che il mio gesto avrebbe ferito le persone amate». Lei prega nel silenzio delle chiese solitarie e a sera a casa sua. «Mi piace il rapporto diretto con l'Universo e lo cerco in maniera intima. E porto sempre nel mio cuore Padre Pio. Ho una sua foto nel portafoglio e a casa gli parlo davanti a un suo quadro. Provo soggezione, se gli prometto qualcosa devo mantenerla, altrimenti mi bacchetta. Prima di salire su un palco sento il bisogno di rivolgergli una preghiera perché mi dia forza». Oggi si fa ancora buona musica? «Ascolto molte cose belle, soprattutto straniere. Però avverto pure l'ingombro del consumismo legato ai ragazzi usciti dai talent. Non c'è più una casa discografica capace di investire. Pescano la pappa già pronta e la mettono sul mercato, fregandosene di quanto può durare». Sta scrivendo il brano giusto per Sanremo? «Sarebbe meraviglioso. Se mi salta fuori un pezzo che mi prende il cuore, ci provo....». Come fa ad accorgersene? «Mi prende il magone in gola e un nodo allo stomaco. Non smetto di ascoltarlo e ogni volta è un'emozione nuova. Se anche mio fratello prova lo stesso, il brano è quello giusto per Sanremo». di Paola Pellai

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