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Ferrari, chi è Maurizio Arrivabene: la storia, i segreti e la carriera

Andrea Tempestini
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"No, guardi, ha visto male. A me le mani non tremano", risponde Maurizio Arrivabene a caldo. Anzi a caldissimo, subito dopo il trionfo di Sebastian Vettel in Malesia. Risponde così alla giornalista Sky che spiegava di aver visto le sue mani tremare negli ultimi giri di una gara impensabile e gloriosa. Trionfa la Ferrari, un trionfo inaspettato, e ad Arrivabene le mani non tremano. Mai. Che il nuovo team principal del Cavallino sia nato sotto una buona stella motoristica, banalmente, lo dimostra già il buffo cognome. Che fosse l'uomo giusto per la riscossa Ferrari lo hanno pensato in tanti, ancor prima della domenica della vittoria di Vettel e ancor prima della domenica della gara d'esordio in Australia con l'esaltante terzo posto di Seb. Lo avevano pensato un po' tutti quando lo avevano visto per la prima volta in plancia di comando. Quando lo avevano sentito parlare. Lo avevano pensato po' tutti a Maranello e un po' tutti i ferraristi di tutta Italia. "Quest'uomo ci porterà in alto...". Esplosioni controllate - Dopo il posato Stefano Domenicali e dopo l'evanescente Marco Mattiacci, alla guida del Cavallino arriva un bresciano, concreto e senza peli sulla lingua. Una rivoluzione copernicana in pieno stile-Marchionne, il manager in pullover che, arrivato alla presidenza Ferrari, ha voluto proprio lui. Ha voluto Arrivabene, uno a cui il look interessa poco, uno tosto, uno concreto. Uno in cui Marchionne forse un po' ci si rivede. Uno di quei personaggi a cui il patinato circus della Formula 1, da Flavio Briatore in poi, ci ha abituato. Già, il circus. Un pianeta in cui c'è posto per tutti: dalle ruvidità di Enzo Ferrari all'aplomb di Frank Williams. Dalle pacatezza di Domenicali all'esplosione controllata di Arrivabene. Con lui non si scherza. E lo ha capito subito Kimi Raikkonen, un altro con un carattere tostissimo, che sabato dopo il deludente 11esimo posto in qualifica ha puntato il dito contro il team. E quel dito puntato - metaforicamente, s'intenda - Arrivabene glielo ha spezzato: "Si concentri piuttosto che criticare - ha risposto -. Forse il team avrà sbagliato qualcosa, ma davanti a lui c'era Ericsson e dietro Hamilton, e tutti e due si sono qualificati al Q3. Kimi no...". Il messaggio è arrivato, forte e chiaro. Raikkonen si è concentrato e ha tirato fuori dal cilindro una gara da urlo: dall'ultimo al quarto posto. Il punto è che uno come Kimi, con uno come Arrivabene, se gli equilibri reggono ci si può trovare. Anzi, ci si può trovare alla grande. La carriera - Nato sotto il segno dei pesci - e l'astrologia assicura che chi nasce sotto il segno dei pesci ha un carattere indomabile -, nella sua carriera mister Arrivabene ha superato ogni ostacolo che si è trovato davanti. Nel 1997 approda in Philip Morris dopo 20 anni tra Italia e resto del mondo, 20 anni dedicati al marketing e alle attività promozionali. Da sempre "in odor" di Formula 1 - e questo grazie al rapporto strettissimo tra il colosso del tabacco e il circus -, Arrivabene era l'uomo di punta, il trait-d'union tra il Cavallino e Philip Morris. La conosceva, la Formula 1. La conosceva benissimo. Conosceva i piloti, i tecnici, i team manager, i presidenti, i problemi, le idiosincrasie, le debolezze. Conosceva tutto di quella Ferrari di cui ora è il leader. Nel frattempo proseguiva la sua carriera in Philip Morris, dove nel 2007 fu nominato "Vice presidente of flobal communication & promotions". Dal 2012 è membro indipendente del board della Juventus Fc. Dal 2010 - e questo è uno snodo fondamentale - è membro della F1 Commission in rappresentanza di tutte le aziende sponsor della Formula 1. E dal 24 novembre 2014 è direttore sportivo della Scuderia Ferrari. Fuori Mattiacci, dentro Arrivabene. La filosofia - Il volto solcato da profonde rughe, la barbetta incolta, il capello bianco e ribelle, i tatuaggi, il vizio del fumo, la voce roca. L'aspetto di uno che ne ha viste tante e che sembra saperne anche di più. Un tipo, Arrivabene, che sarebbe piaciuto, eccome, ad Enzo Ferrari. Uno che non si esalta per una vittoria, o almeno mostra di non farlo. "Avevamo detto che avremmo fatto due podi quest'anno, uno è fatto, quindi bene così", ha tagliato corto dopo il trionfo di Vettel. Voleva dire "due vittorie" (perché due podi, in due gare, quest'anno la Ferrari li ha già fatti), ma va bene così (forse Arrivabene è stato tradito da un briciolo di quell'emozione che non vuole tradire, mai). "Una grande squadra - ha continuato - e un grande lavoro della gente di Maranello. Non ci sono vincitori individuali, questa macchina non ha un papà, né 2 o 3, ne ha 1.300", ha spiegato. Tanto che sul podio al fianco di Vettel, lui, tradendo tutte le aspettative, non ci è mica andato. Ha lasciato il palcoscenico al capo dei meccanici del Cavallino, Diego Ioverno. Il bresciano Arrivabene guardava da sotto, col ciuffo scapigliato, un sorriso e lo sguardo determinato. Le mani, inutile sottolinearlo, non gli tremavano. di Andrea Tempestini @anTempestini

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