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Paolo Condò, l'unico italiano nella giuria del Pallone d'oro: "Messi e Ronaldo? Vi spiego come danno il premio"

Giulio Bucchi
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Forse queste prime righe sono sprecate. Perché Paolo Condò non ha bisogno di presentazioni. Chi si occupa di giornalismo sportivo in Italia, o solo di giornalismo, o solo di sport, non può non conoscerlo e non ritenerlo un modello professionale. Ma siccome bisogna rispettare i convenevoli, optiamo per un fugace riassunto biografico: per anni firma di punta della Gazzetta, ora apprezzato opinionista di Sky, con cui ha prodotto Mister Condò (pronta la nuova stagione), unico italiano nella giuria del Pallone d'Oro, penna raffinata come si può constatare leggendo il suo romanzo Duellanti (Baldini&Castoldi), e poi aggiungete voi il resto. In sintesi: un giornalista di razza. Uno di quelli con cui parli, e quando hai finito accenni un inchino. Ciò premesso, è d'obbligo cominciare con la domanda da un milione di dollari: Paolo Condò, come si diventa Paolo Condò?  «In realtà non si può». Ma come, svioliniamo i migliori complimenti e lei ci "ringrazia" così?  «Mi spiego. Io sono un dinosauro, il prodotto finale di un giornalismo ricco che si affidava agli inviati e che oggi purtroppo non esiste più. I giornali non hanno più i soldi per mandare in giro per il mondo i cronisti. Ma sono anche un'ottimista, spero che si possa tornare ai "vecchi tempi". Nel frattempo ci si può arrangiare». Come?  «Lavorando e migliorando. Suggerisco di non prendere esempio da quei calciatori che dicono "non ho nulla da dimostrare": quando li sento penso subito "questo è finito". Ed è una cosa che vale per tutti i mestieri». La mettiamo alla prova sull'argomento più inflazionato delle ultime settimane: ci dica qualcosa di diverso su Neymar al Psg.   «La prima cosa che mi viene in mente non c'entra nulla con il suo passaggio al Psg, però forse spiega da dove è partito questo ragazzo. Nel 2009 ero in Brasile per coprire il ritorno di Ronaldo in patria al Corinthians dopo l'esperienza al Milan. In quei giorni avrebbe sfidato il Santos, ma i brasiliani sembravano interessati più che altro a tale Neymar, che avrebbe giocato la sua quarta gara in prima squadra ed era considerato l'erede del Fenomeno. Nel foglio per la stampa si parlava di un perfetto passaggio di consegne. Ecco, quel primo, diciassettenne Neymar, mi è rimasto impresso: entrò nella ripresa, era magrissimo, deluse, se ne accorse e allora improvvisò uno slalom bellissimo. Pensai che in quel momento si dimostrò capace di sostenere le aspettative che il Brasile aveva per lui. E in effetti "non ha tradito"». Lei nel frattempo è "fuggito" in tv. Tisana o energy drink prima delle dirette?  «Al massimo una Coca Cola in tarda serata. Ma l'adrenalina della trasmissione fa sì che tu sia sempre molto presente. Poi la mia vita televisiva è fresca, il prossimo sarà il terzo anno, non ho avuto tempo per annoiarmi». Un primo bilancio?  «Sono molto contento perché ho recuperato lo studio. Il momento chiave è il dialogo con gli allenatori a fine partita: loro sono nervosi e tu devi essere molto preparato per trovare la domanda giusta. E poi il livello è altissimo. Ad esempio, con Daniele Adani: lui ti snocciola le caratteristiche del terzino sinistro di riserva della squadra slovacca e tu non puoi rimanere lì come un pesce lesso, e questo ti costringe ad una preparazione immensa, che abbini all' esperienza: ogni ricordo può diventare un racconto, ed è una cosa che piace a chi guarda». Tutto positivo, insomma.  «No, temevo il fatto che non avrei più viaggiato. Ma devo dire che soffro solo in poche occasioni, ad esempio quando si gioca un Barcellona-Real Madrid e io non posso andare a vederla. Ma è più che accettabile». In studio è accerchiato da ex calciatori. Non vi pestate i piedi?  «No perché abbiamo compiti diversi. Ad esempio, Adani e Bergomi sono analisti straordinari del campo, Costacurta è bravissimo a raccontare lo spogliatoio, Marocchi legge le dinamiche della società. Poi deve esserci anche un giudizio giornalistico, perché noi riteniamo utili tante cose su cui loro magari sorvolano. Comunque abbiamo una chimica perfetta, e non lo dico per piaggeria». Ci crediamo sulla parola.  «Ho le prove. Ora posso dirlo: Billy Costacurta è stato una mia fonte per anni quando era ragazzino al Milan di Sacchi. Mi spiegava tutto quello che facevano, soprattutto dal punto di vista tattico. Nessuno lo sapeva. È stato bello ritrovarsi nella stessa "squadra"». A proposito, come ha iniziato a fare il giornalista?  «Nel 1984, ero da poco diventato professionista al Piccolo di Trieste, che all'epoca faceva parte del gruppo Rizzoli, insieme a L'Occhio e Il Corriere d'Informazione. I cassaintegrati di questi ultimi rifiutavano le nuove destinazioni, tipo Trieste, ma non Paola Messina, figlia di David, primo vero esperto di mercato alla Gazzetta. Io e Paola diventammo amici, e il padre si faceva mandare a fare la partita dell'Udinese di Zico per poi stare con la figlia la sera. Uscì qualche volta con noi e ci chiese: "C'è qualcuno che verrebbe a Milano in redazione?". Colsi la palla al balzo». Cosa fa la differenza tra un bravo giornalista e uno scarso? «Gli scarsi sono quelli che fanno una verifica in meno, o quelli che si presentano con una tesi precostituita. Per dire, quelli che sono andati a seguire la prima giornata di Neymar a Parigi per dimostrare che lui è un simbolo negativo. Ma su quali basi?». Sia sincero, lei che vota per il Pallone d'Oro: crede nel trofeo o è solo una marchetta?  «Ci credo di più ora che è tornato di proprietà di France Football e coinvolge solo i giornalisti. Negli anni in cui fu comprato dalla Fifa e accorpato al Fifa World Player, erano chiamati a votare anche i capitani e i ct di tutte le nazionali. Un cortocircuito. È chiaro che quelli delle Fiji votino sempre Messi e Ronaldo, quelli che a loro "arrivano" a prescindere. Quando il più forte è stato anche il migliore non c'erano problemi, ma non è sempre così. Io l'anno scorso votai per Bale, perché giocò meglio di Ronaldo nelle partite decisive e portò il Galles in semifinale all'Europeo con un coraggio trascinante». Nel 2010 vinse Messi ma lei votò Sneijder, che finì giù dal podio.  «La cosa curiosa è che poi venne scorporato il voto dei giornalisti, e l'olandese sarebbe stato il vincitore. La morale è che i giornalisti capiscono di calcio più di capitani e allenatori!». C'è qualche collega della giuria in malafede?  «Non che io sappia. Al massimo ci sono quelli pigri che non hanno voglia di considerare altri oltre Messi e Ronaldo». Mister Condò è una scommessa vinta?  «Federico Ferri, direttore di SkySport, mi chiese di far valere i rapporti che avevo con gli allenatori. Poi io procuro solo la bistecca e la porto a due fenomeni, Leo Muti e Sara Cometti, regista e autrice di una bravura sconfinata, che la cucinano e la impiattano a regola d'arte». I prossimi Mister Condò?  «Sto puntando i tecnici delle milanesi, Montella e Spalletti, che mi intriga perché è molto cerebrale. E poi qualche allenatore di Champions, per anticiparne il ritorno su Sky dal 2018, tipo Ancelotti e Simeone». La serie A inizia sabato, dovrete vedervela con un nuovo, importante protagonista: il Var.  «Sono favorevole, ma dovremo educare i tifosi per superare momenti complicati. In tante situazioni non esiste una verità assoluta, a quel punto i tifosi potranno dire "l' hanno pure vista con il Var e hanno sbagliato" e sarà un motivo di crisi». La favorita per lo Scudetto?  «La Juve per ovvi motivi, e il Napoli, perché è pronto e ha fatto un mercato consapevole». Però la Supercoppa ha raccontato di una Juve in difficoltà.  «Ha confermato che Allegri deve cambiare gioco perché non ha più due ingranaggi unici come Bonucci e Alves. Tra l'altro i loro addii testimoniano che per la prima volta la Juve non ha "controllato" il mercato, ma l'ha "subito". Il club aveva programmato gli acquisti di Costa e Bernardeschi, ma non gli altri, così non ha ancora coperto i buchi. E ora deve intervenire in fretta». Le milanesi e la Roma?  «Subito dietro. La Roma perché ha perso Salah. Il Milan ora è strutturato, dipende da quanto impiegherà Montella per trovare la ricetta. L'Inter è centratissima su Spalletti e ha inserito giocatori che fanno lievitare il rendimento. Ma il vero scudetto sarà un altro». Ovvero?  «Entrare nei primi 4 posti che valgono la Champions: una rimarrà fuori e dovrà affrontare un fallimento economico. E, mercato permettendo, sarebbe irrispettoso non considerare anche la Lazio, per quanto ha dimostrato l'anno scorso e in Supercoppa». Dunque sarà l'anno di...?  «Deve essere quello della consacrazione dei ragazzi italiani, come Chiesa, Insigne, Belotti, e altri. Siccome è la stagione che porta al Mondiale, sperando di qualificarci, abbiamo bisogno che questi giovani siano i leader delle rispettive squadre. Possono diventare i nuovi Paolo Rossi, i nuovi Pirlo, quelli che ci hanno fatto vincere. Sarà un anno fondamentale per le loro carriere e per il nostro calcio». di Claudio Savelli

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