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Russia 2018, per chi il mondiale è un incubo: minacce di morte, naja, punizioni, pianti e ricatti

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Davide Locano
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Quello russo è da molti descritto come il Mondiale delle favole, il torneo in cui anche delle piccole nazioni riescono a dire la loro contro le superpotenze europee e sudamericane. C'è però un'altra faccia di questa Coppa 2018, quella in cui l'orgoglio nazionale, l'unità di un popolo e il sostegno a chi rappresenta un'intera nazione in campo si trasformano in qualcosa di diverso e per i giocatori la manifestazione passa da un'occasione per mettersi in mostra a un vero incubo. L'ultima in ordine di tempo è la storia di Son Heung-Min, centrocampista del Tottenham e della Corea del Sud, le cui lacrime dopo la sconfitta con il Messico hanno fatto il giro del mondo. Quel pianto disperato non si spiega soltanto con il pessimo cammino della nazionale sudcoreana, ma trova le sue origini in una regola che vige nel Paese di Son che potrebbe cambiargli completamente la vita. In Corea del Sud i minori di 28 anni sono infatti sottoposti al servizio militare obbligatorio per 21 mesi con una paga che non va oltre i 100 euro al mese. Uno dei pochi modi per evitare la chiamata alle armi, recita la legge, è sapersi distinguere per risultati sportivi prestigiosi per il Paese. Ma non è il caso di questa Corea, all'ultimo posto del girone a 0 punti. La scappatoia dei meriti sportivi è già stata usata in passato sia dalla nazionale di Hiddink che nel 2002 conquistò le semifinali in casa a spese dell'Italia e si vide ridurre il servizio militare a sole 4 settimane, sia da quella che nel 2014 conquistò il secondo posto ai Giochi asiatici. E se ci sono atleti già pronti a partire per il servizio militare, come il pugile Jung Chan-Sung o il golfista Sang Moon Bae, entrambi costretti a lasciare il loro sport per due anni, per Son si aprono solo due vie d'uscita: il centrocampista del Tottenham potrebbe evitare di lasciare la Premier e il suo faraonico stipendio in caso di risultati positivi della nazionale ai prossimi Giochi Asiatici o alla Coppa d'Asia. Ma non piange solo Son in questi Mondiali. Si moltiplicano infatti i casi di giocatori vittime di insulti e promesse di morte a causa di risultati deludenti della propria nazionale. Dopo il colombiano Sanchez, minacciato di morte con le foto di Andres Escobar (il giocatore assassinato dopo l'autogol segnato con la maglia della Colombia al mondiale del '94), le minacce social si diffondono sempre più. L'australiano Robbie Kruse è stato preso di mira per le prestazioni non brillanti con la maglia della Nazionale, mentre lo svedese Jimmy Durmaz, autore del fallo che ha portato alla punizione/gol di Kroos, ha ricevuto oltre 4000 messaggi tra insulti razzisti e minacce che hanno sconvolto tutti. «Sono un giocatore di calcio ed essere criticati è qualcosa con cui conviviamo- ha detto il calciatore - , ma essere chiamato suicida-esplosivo, minacciare la mia famiglia, i miei figli è assolutamente inaccettabile. Siamo uniti, siamo svedesi». Un concetto di unità nazionale che non tutti si ricordano. di Silvia Galbiati

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