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Giannino, troppe cattive compagnie:tifosi della concertazione e finiani

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La lettera aperta a Oscar: "So che il compromesso è inevitabile, ma se sul piatto c'è un progetto per non essere sudditi devi fare meglio"

Andrea Tempestini
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  di Maria Giovanna Maglie Caro Oscar Giannino, lo so che quando si passa dalla passione alla costruzione il compromesso è inevitabile, ma se sul piatto c'è nientemeno che un progetto per non essere più sudditi,  accompagnato da vistoso sopracciò, allora ci vuol altro, non  un'associazione che invece che «individuo» e, che so, «merito o libertà o felicità», si chiama «impresa e lavoro», che sembra la Costituzione italiana che ci perseguita da sessant'anni con quel «fondata sul lavoro». Li staniamo a questo modo i politici incapaci e preoccupati del seggio traballante, ma anche quelli che possono fare un pezzo di strada nuovo? Facciamo l'elenco dei buoni e dei cattivi affidandolo a qualche professore magari montiano o fermamente legato alla sinistra statalista della patrimoniale abbonata al  tax and spend, a un po' di confindustriali protagonisti della concertazione che frutta sussidio per decenni, a qualche ragazzotto/a di buona volontà appena sortito da Bocconi e Luiss, perfino ai finiani in caduta libera, unici rappresentanti ammessi dell'odiosa categoria? È così che si crea nuova classe prestata per eccellenza alla politica e si supera la vetusta separazione tra destra e sinistra? È sparando solo su Berlusconi e rabbrividendo di sdegno solo per il partito azienda del tycoon? Non mi convince il manifesto appello di Oscar Giannino e variegati compagni di strada, ed è una  delusione che mi auguro provvisoria, visto che di Giannino mi sento da molti anni compagna di strada. Proverò a spiegare perché le argomentazioni, sacrosante, mi appaiano annacquate, tanto rispetto al processo di dibattito ormai avanzato sulla necessità di “liberare” la nostra società, quanto rispetto alle opinioni quotidianamente espresse proprio da Oscar Giannino; mi sembra che Oscar Giannino abbia incluso estensori e firmatari prescelti del manifesto appello che secondo me non sono appropriati, ne abbia per il momento escluso altri che sarebbe stato appropriato includere invece, sia pur a condizioni precise;  ritengo ambigua la scelta netta di risparmiare qualunque critica al governo tecnico di Mario Monti. Ps. Faccio il giornalista e scrivo su un giornale, ma Oscar per ora fa il mio stesso mestiere, sostiene che non intende cambiarlo, non so come mai ieri, ad appello manifesto appena pubblicato su sei quotidiani, abbia ritenuto di mettere in guardia sul suo Chicago blog dalle interpretazioni della stampa e di fornire una seconda “interpretazione autentica”. La stampa cattiva è una roba un po' da grillini, un po' da setta. Qualche osservazione sui  dieci punti del manifesto. Non sono un'esperta di economia, e ci tengo. Però tagliare solo dell'1,2% all'anno la spesa pubblica mi sembra che equivalga ad una spending review  non tanto diversa da quella promossa dall'attuale governo.  Veniamo al cavallo di battaglia, le tasse. «Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni, dando la priorità alla riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d'impresa. Semplificare il sistema tributario e combattere l'evasione fiscale destinando il gettito alla riduzione delle imposte». Ma ridurre solo di un punto percentuale all'anno la pressione fiscale non è una gran cosa. Semplificare il sistema tributario  non significa ridurlo. Combattere l'evasione fiscale destinando il gettito alla riduzione delle imposte assomiglia molto al dogma di Equitalia secondo il quale se tutti pagassero le tasse la pressione fiscale  diminuirebbe.  Ancora, cito dal testo: «Tutti i lavoratori, indipendentemente dalla dimensione dell'impresa in cui lavoravano, devono godere di un sussidio di disoccupazione e di strumenti di formazione che permettano e incentivino la ricerca di un nuovo posto di lavoro quando necessario, scoraggiando altresì la cultura della dipendenza dallo Stato». Ma questo verrebbe ancora una volta pagato da tutti i contribuenti, non combatterebbe la disoccupazione, e  diminuirebbe le capacità d'investimento economico disponibile per le aziende virtuose. Mi fermo qui, ma in troppi punti del manifesto appello leggo piuttosto che l'autentica aspirazione a una rivoluzione liberale e al libero mercato un'aspirazione riformista- efficientista, da cambio di classe dirigente, legittima, per carità, e che mi sembra dovuta alla mescla, alla composizione eterogenea dei promotori, tra i quali, ripeto, spiccano il consigliere economico di Matteo Renzi, qualche professore liberal democratico all'americana, di quelli che scrivono agevolmente su Repubblica come su Il Fatto, e, comunque la si occulti, all'ex presidente di Confindustria, confederazione che nella nostra storia patria ha sempre preferito l'accordo  con i sindacati confederali al rischio d'impresa.  

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