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Mezzo Pd vuole trattare con il Pdl

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Dario Franceschini rompe gli indugi: «Confrontiamoci col centrodestra, non esiste altra soluzione». Gaffe Rosy Bindi: «Bersani tiene ostaggio il partito». Costretta a smentire

Lucia Esposito
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Brunella Bolloli    Passi Matteo Renzi, che al Nazareno è considerato quasi alla stregua di un “berluschino” e ancora gli rinfacciano quella visita «non istituzionale» nella dimora brianzola del Cav. Ma quando a sollecitare «il dialogo con Silvio Berlusconi e il confronto sugli otto punti proposti dal leader Pdl» è un alto dirigente democratico quale Dario Franceschini, ex segretario ed ex capogruppo alla Camera, c'è qualcosa che va oltre il solito duello tra rottamatori e vecchia guardia. Tanto più se a sparare contro la linea del leader, Pier Luigi Bersani, ci si mette pure la presidente del partito, quella insospettabile Rosy Bindi, che in un colloquio con il Secolo XIX di Genova avrebbe ammesso:  «Pier Luigi ci tiene in ostaggio. Non sa più che fare e il partito è fermo, senza prospettiva». Apriti cielo. Tu quoque Rosy? L'ex vicepresidente della Camera si è affrettata a smentire («sono stata avvicinata per strada da un signore che neanche sapevo fosse un giornalista), ma il quotidiano invece ha confermato i virgolettati  pubblicati. Tra la Bindi e la direzione del Secolo il botta e risposta è proseguito tramite la portavoce, con la presidente Pd che assicurava di avere rispettato la consegna del silenzio e il quotidiano, invece, a rintuzzare: «Comprendiamo che le dichiarazioni rilasciate al nostro collega Michele Fusco abbiano potuto ingenerare qualche imbarazzo nel partito, e capiamo perciò la necessità di una smentita diplomatica che volentieri perdoniamo alla presidente confermandole anzi la nostra stima».  Insomma, uno psicodramma democratico. Acuito dal fatto che il segretario, bacchettato  dai big a lui più alleati, ufficialmente non parla. Se ne sta zitto e rintanato nella sua ostinazione di premier-incaricato ma «assorbito» dai dieci saggi nominati da Napolitano, convinto forse di potere mantenere quell'incarico di formare un governo, anche senza i numeri dei tanto corteggiati grillini, che finora gli hanno risposto con una raffica di due da picche (per non dire vaffa). Il mancato smacchiatore di giaguari, sostenitore della strategia del «doppio binario», che si traduce nella bocciatura del governissimo ma nella condivisione di riforme urgenti, sta forse attendendo la svolta che verrà dall'incontro con il «nemico» Berlusconi, la prossima settimana. Un summit che sarà decisivo perché sul tavolo delle trattative c'è il nodo del Quirinale, dove si lavora a un'intesa tra i due schieramenti, nonché la ricerca di soluzione per formare il nuovo governo ed è proprio su questo punto che Bersani comincia a perdere consensi tra i suoi. È vero che, ieri sera, Franceschini è tornato sull'apertura al Pdl rilanciata dalle colonne del Corriere della Sera. «Non ho proposto un governissimo dove siano insieme ministri Bindi e La Russa», ha spiegato, «ma un governo per la transizione sostenuto da avversari». Un esecutivo per le questioni urgenti come «la legge elettorale o i provvedimenti per l'economia». Del resto, «i numeri dicono che o si accetta un rapporto con il Pdl o non passerà nessun governo», ha detto intervistato da Aldo Cazzullo. E al Tg1 ha ribadito: «Anche se negli otto punti di Berlusconi c'è molta propaganda, sono idee da mettere sul piano del confronto». E dire che Franceschini è sempre stato considerato uno dei più antiberlusconiani... Ma è altrettanto vero che a mettere sotto assedio Bersani c'è pure l'uomo nuovo in campo per la segreteria: Fabrizio Barca, ministro in carica del governo Monti, ma da sempre vicino ai democrats e gradito anche a Sinistra e Libertà di Vendola. La sfida del futuro, neanche troppo lontano, sarebbe dunque tra Renzi e Barca passando, ovviamente per le primarie del Pd. In campo c'è però anche un'altra ipotesi che si fa strada, e cioè un rischio reale di scissione nel centrosinistra. Uno scenario seccamente smentito da Franceschini («ognuno si morda la lingua»), ma comunque sullo sfondo.  La sua apertura al dialogo con i moderati (cui corrisponde una chiusura piuttosto netta al Movimento Cinquestelle), se da una parte sposa la linea renziana (e veltroniana) dall'altra trova il muro dell'ala più intransigente del Pd, per non parlare della base. In rete è tutto un proliferare di accuse al mancato presidente della Camera (sacrificato da Bersani il giorno dell'elezione per piazzare Laura Boldrini di Sel e gradita ai grillini). I militanti lo attaccano: «Ok, fate accordi col Berlusca e vedrete cosa faremo delle nostre tessere Pd», minacciano in tanti. Boccia Franceschini e la sua apertura al Pdl il deputato Andrea de Maria, definendolo «un errore drammatico». «Le ipotesi che si stanno facendo di un governo con il Pdl non corrispondono al mandato ricevuto e sono una catastrofe politica per l'Italia e per il Pd», fa sapere  Laura Puppato. «Prima o poi arriveranno, se non tutti quasi tutti. Franceschini e La Torre poco fa, altri nelle prossime ore», ha scritto su Twitter il segretario del Psi, Riccardo Nencini. I bersaniani, com'è naturale, fanno quadrato attorno al segretario. «Non è uno che si lascia impressionare da certe cose», assicurano.  Ma il suggerimento di Franceschini piace, invece, a molti. Giorgio Merlo gli dà ragione senza indugi: «Il tempo delle pregiudiziali politiche e personali è terminato». Idem i dirigenti ex popolari come Beppe Fioroni, che da tempo caldeggia la fine delle ostilità con il Pdl, ok dai liberal e perfino da certi bersaniani doc. Perché la linea comune è una: meglio evitare le urne anticipate e tenersi il seggio.    

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