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Giampaolo Pansa

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Andrea Tempestini
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  di Giampaolo Pansa «Inciucio» è diventata la parola dominante nel lessico politico e, di riflesso, nelle cronache che descrivono le convulsioni dei partiti. Tuttavia è inutile cercarla nei grandi dizionari della lingua italiana. Quelli che possiedo non l'hanno ancora registrata. Ne ho trovato una traccia in un lavoro di Paola Sorge, “Dizionario dei modi di dire della lingua italiana”, pubblicato da Newton Compton. L'autrice spiega il termine dicendo che fare un inciucio significa mettere in atto complotti e trame per indebolire un governo. Io aggiungerei: anche per farne uno.  Sembra che il primo politico di casa nostra ad aver usato la parola sia stato Massimo D'Alema in un'intervista a Repubblica dell'ottobre 1995. Max, che in quel momento era il leader dei Ds, la pronunciava per condannarne il significato negativo, a proposito di qualche vicenda oggi dimenticata. Da quel momento l'inciucio è divenuto il simbolo di azioni politiche nefande. E noi ne siamo diventati talmente prigionieri da innescare dibattiti se convenga o meno usare la parolaccia.  Il più recente è apparso sul  Foglio  di venerdì scorso. In una lettera al direttore, Angelo De Mattia stigmatizzava l'uso di «questa parola di origine dialettale, ormai diventata stracca e stanca, tutto avvolgendo, da eventi grandi a quelli piccoli, in un generale indistinto». Nella risposta, Giuliano Ferrara si dichiarava d'accordo con lui: «È  vero. L'uso di quella parola dialettale, anche a me odiosa, è un cedimento linguistico e culturale».  Eppure, in questi giorni oscuri, quando le crisi più diverse sembrano sommarsi, a me la parola «inciucio» piace sempre di più. Dal momento che si tratta di un termine a due facce, ne vedo soprattutto il significato positivo. E arrivo a pensare che mettere in atto un inciucione, di quelli robusti, sia l'estrema risorsa per evitare che l'Italia cada nel baratro del disastro politico. E l'impotenza a far nascere un governo ci scaraventi dentro l'incognita di nuove elezioni.  Un grande Paese come il nostro può vivere senza un governo? Assolutamente no. Gli unici che sono convinti del contrario, o dicono di esserlo, sembrano essere i padroni delle Cinque stelle, Grillo & Casaleggio. Hanno spinto i loro parlamentari a sostenere l'assurdità che i governi non contano. Le nazioni possono essere guidate dalle assemblee elettive, nel nostro caso la Camera e il Senato. Basta affidarsi al web. Sarà Internet il nuovo mondo della libertà e, insieme, dell'ordinato svolgersi della vita istituzionale.   Mi sembra una colossale sciocchezza o una maxi belinata, per ricorrere al dialetto di Grillo. Quanto sia fasullo questo sistema di democrazia basata sul computer l'ha dimostrato il fallimento delle cosiddette “Quirinarie”. Era la consultazione via Internet indetta dai Cinque stelle per scegliere un loro candidato al Quirinale. Ma è bastato un assalto informatico per mandare tutto all'aria e costringere Grillo & Casaleggio ad annullare il risultato e a far ripetere le votazioni.   Ma qui siamo sul terreno fumettaro del grillismo. E non su quello decisivo dei partiti tradizionali. Piaccia o no, sono sempre gli unici soggetti in grado di decidere la nascita di un governo. Dipende dalla loro volontà compiere questo passo che a sei  settimane dal voto tarda ancora. Arrivato a questo punto, anch'io potrei dare inizio al solito lamento. Però ritengo inutile recitarlo  per l'ennesima volta. È  meglio osservare le due forze in campo e vedere come si comportano.  Il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi dal 25 febbraio in poi ha tenuto una linea oscillante. Un giorno il Cavaliere sosteneva di volere un governo di larga coalizione, il giorno successivo dichiarava di preferire nuove elezioni. Adesso sembra aver scelto la strada di un'alleanza con il centrosinistra, per la nascita di un esecutivo formato dal Pd e dal Pdl. C'è solo da sperare che Berlusconi non cambi un'altra volta programma.  Chi sembra molto restio a imboccare questa via è Pier Luigi Bersani. Sul suo conto non so più che cosa dire. Mi sembra un capo in completo disarmo. Ben poco sicuro delle proprie capacità di leader. Continua a ripetere che il suo partito non accetterebbe mai di fare un esecutivo con l'odiato Caimano. Se mai gli venisse proposto dal vertice, il Pd si spaccherebbe. E una parte degli elettori rimasti cercherebbe rifugio nell'astensione, o peggio, domanderebbe asilo politico ai Cinquestelle.  Purtroppo per il povero Pier Luigi, il suo partito è già spaccato. In almeno tre blocchi. Uno è rimasto con lui. Il secondo sta già con Matteo Renzi. Il terzo si prepara a mettersi al seguito di Fabrizio Barca e al suo progetto di costruire un laburismo italiano. Bersani può difendersi in vari modi, ma l'unico che di certo non gli giova è quello di non decidere.  Osservo stupefatto le incertezze suicide del leader democratico. È  lui stesso a dipingere di sé un profilo ben più negativo di quelli tracciati da cronisti irriverenti. Bersani si sta costruendo una pessima fama: l'essere un politico di poco valore,  egoista, insensibile ai guai dell'Italia e al disastro politico che può ancora venirne. Una catastrofe che pure lui deve evitare, anche a costo di rischiare del tutto l'unità del Pd.  L'unica salvezza sta nel formare un governo che veda insieme centrosinistra e centrodestra. È  una strada senza precedenti in Italia. Ma anche nella vita delle nazioni esiste sempre una prima volta. Bisogna percorrerla con grande coraggio e, insieme, con l'umiltà di prendere atto che è indispensabile fermare la guerriglia  politica che abbiamo sin qui conosciuto. Devo essere più chiaro? È  necessario smetterla di accusarsi a vicenda per quanto è accaduto nel passato. Non ha più senso rimproverare Bersani di essere cresciuto in un Pci che applaudiva ai gulag del comunismo sovietico o di aver saputo degli affari controversi del suo braccio destro Penati. Allo stesso modo è inutile ricordare di continuo gli errori politici di Berlusconi, i suoi conflitti d'interesse, i  festini ad Arcore, le minorenni che avrebbero allietato le sue notti. Che cosa volete che ci importi dinanzi al rischio concreto di veder crollare la baracca Italia?  Ecco perché l'inciucio è necessario. Sia per trovare un nuovo capo dello Stato all'altezza di Giorgio Napolitano. Sia per dar vita a un governo stabile in grado di durare il tempo necessario per aiutare il Paese a uscire da una drammatica crisi economica e sociale. E per approvare le riforme istituzionali indispensabili a non far morire la nostra democrazia parlamentare.  Sento già qualcuno osservare: l'inciucio può dare soltanto risultati di basso profilo. È  possibile, ma un patto modesto è sempre meglio che nessun patto. Non diventiamo come la zitella Ersilia che tutti la vogliono e nessuno la piglia. Berlusconi non ha mai fatto lo zitellone. Su Bersani ho qualche sospetto, però non credo che voglia concludere il proprio percorso politico con un flop fantozziano. Anche perché verrebbe ricordato soltanto per l'ultima sconfitta.  Questi due leader devono stare molto attenti ai passi da compiere. Se falliscono, non ci sarà nessuna prova d'appello. La rabbia di un Paese in macerie si riverserà per intero su di loro. Vogliono rischiare un bis di piazzale Loreto? Mi auguro che non siano così folli.  

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