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La strategia di Berlusconi: lui a casa coi figli, i falchi da Napolitano

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Il Cavaliere aspetta che il centrosinistra imploda e che il Colle trovi il modo di salvarlo

Eliana Giusto
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Dopo aver gridato come un'aquila contro l'ennesimo golpe della magistratura, il Cavaliere ha rimesso provvisoriamente su le ali da colomba e ha preso il volo verso Arcore con la figlia Marina. Lontano da Roma, lontano dall'agone politico, lontano da quel Palazzaccio che gli ha inflitto l'onta della condanna definitiva. Ma soprattutto lontano dal Colle, per lasciare Giorgio Napolitano lavorare indisturbato all'ultima ancora di salvataggio per l'ex premier: la grazia.  Secondo giorno d.C. (dopo Cassazione) della nuova vita di Silvio Berlusconi da leader galeotto: nuova strategia. Che non è più quella dei pasdaran, ma quella del “doppio binario”: «I falchi facciano i falchi esercitando pressione su Napolitano, le colombe seguano la loro strada che è quella della responsabilità», è la linea dettata dal Cav. Dalla guerra totale annunciata venerdì pomeriggio davanti ai suoi parlamentari a Montecitorio, il leader del Pdl, dopo aver piazzato un po' di cerini accesi nel Pd, al Quirinale e a Palazzo Chigi, si è messo alla finestra aspettando che il centrosinistra imploda e che l'uomo del Colle trovi il modo di architettare il suo salvacondotto. Se venerdì Berlusconi era fuori dalla grazia di Dio e gridava «torniamo al voto a ottobre», ora ha messo il piede in due staffe: ha dettato un ultimatum perentorio al governo sulla giustizia rivendicando al suo partito il diritto di reagire, ma ha anche richiamato tutto il Pdl al senso di responsabilità. Di qui, la decisione dei cinque ministri pidiellini, concordata con il Cav e con il partito, di non prendere parte oggi alla manifestazione, derubricata da marcia verso il Quirinale a sit-in a via del Plebiscito. Anche questo progressivo smorzamento delle trombe di guerra è funzionale alla nuova strategia attendista del Cavaliere, mirata ad ottenere la grazia da Napolitano, che certo non sarebbe agevolato da un appello urlato e recapitato al Colle a passo di marcia. Meglio abbassare i toni e dilatare un po' i tempi. Anche se il Capo dello Stato è rientrato ieri dalla vacanza in Val Pusteria, non riceverà domani i capigruppo Pdl di Camera e Senato, Brunetta e Schifani, come loro stessi avevano annunciato venerdì alla riunione congiunta dei gruppi a Montecitorio. La spedizione dei due “Renati” al Colle, infatti, forse avverrà lunedì. Lo stesso Quirinale, ieri, ha tenuto a far sapere che Napolitano non ha alcun incontro in programma per oggi. Non ufficiali, almeno. Non c'è dubbio che le diplomazie dei partiti e del governo lavoreranno alacremente anche oggi per ricucire le ferite di una crisi di governo annunciata.  Che le larghe intese fossero a un passo dal saltare, lo confermano fonti di Palazzo Chigi, da cui si apprende che ieri mattina il premier Enrico Letta era a un passo dal salire al Colle per rimettere l'incarico a Napolitano.  La nuova strategia soft di Berlusconi è maturata dopo un confronto telefonico franco e a tratti teso che c'è stato venerdì al telefono con Napolitano, in cui l'ex premier ha nuovamente preteso di essere difeso contro i giudici da cui lui si stente perseguitato da vent'anni e il Capo dello Stato, pur ascoltando il suo ennesimo sfogo, gli ha ribadito che lui deve rispettare la sentenza degli ermellini, senza avventurarsi in nuovi attacchi frontali contro la magistratura. Condizione necessaria e propedeutica a qualunque futura mossa del Capo dello Stato in favore della libertà di Berlusconi.  Non che Berlusconi abbia intenzione di darsi per vinto e chiudere col disonore di una condanna la “guerra dei vent'anni” contro le toghe. Anzi. La voglia di far saltare il tavolo e di mandare in tilt il sistema in lui resta fortissima. La sua tentazione, confidata ai fedelissimi nel gabinetto di guerra permanente allestito in questi giorni a Palazzo Grazioli fino, era: «Facciamo durare questo governo un altro po', intanto lo logoriamo in Parlamento, e così facciamo in modo che sia il Pd a staccargli la spina, magari per mano dei renziani. Poi dimissioni in massa dei parlamentari del Pdl e si va al voto». Strategia che avrebbe implicato uno sbocco immediato ad ottobre, abortita nelle ultime ore dal Cavaliere, ridotto a più miti consigli dalle colombe, ovvero l'ala governativa del partito.  Berlusconi sa di avere tre strade possibili davanti a sé. Il sentiero stretto che lo conduce alla grazia e non può passare per la piazza, ma tutt'al più per qualche via secondaria, con forme contenute di manifestazione di solidarietà al leader (come quella prevista per oggi in via del Plebiscito alle 18). Sentiero che passa anche per una riforma della giustizia nel solco tracciato dai saggi quirinalizi (Gaetano Quagliariello, Mario Mauro, Valerio Onida e Luciano Violante). In alternativa, un irrigidimento delle posizioni di Berlusconi può far saltare il banco provocando le dimissioni di Letta e Napolitano. Ma questo comporterebbe l'elezione di un nuovo presidente della Repubblica, prevedibilmente più ostile di Napolitano, vista l'attuale fisionomia del Parlamento. La terza alternativa è quella di arrivare subito al voto, ma è improbabile perché proprio il 3 ottobre è atteso il pronunciamento della Corte di Cassazione sull'illegittimità del Porcellum. Eventuali elezioni in ottobre, quindi rischiano di produrre un nuovo Parlamento che potrebbe essere dichiarato illegittimo un mese e mezzo dopo.  Due sentieri, questi ultimi, ben più inquietanti dello status quo per Berlusconi. Proprio da questo nasce la sua strategia del doppio binario: un po' falco, ma soprattutto colomba. di Barbara Romano

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