Il racconto di un pentito

Il calcetto di Gomorra Ogni clan una squadra e in premio... la droga

Matteo Legnani

Quei bravi ragazzi giocavano a calcetto nel campo di Wimbledon (quei bravi ragazzi non hanno problemi a giocare a calcetto in un campo intitolato al maggior torneo di tennis) dalle parti delle Case Celesti, a Secondigliano, territorio dei clan. Dice che non bisogna umanizzarli, gli uomini delle cosche, e viene amaramente da ridere, su quest’idea da anime belle circa i camorristi che non sarebbero uomini, e invece la ferita sanguinante è proprio lì: sono uomini, giocano a calcio, si sfidano in un torneo in cui ogni squadra ha un «mister» che però non è un mister come Allegri o Mourinho, è un capoclan, e quindi in palio non c’è un’inutile, sciocca coppa di volgare metallo, ma droga, da far circolare nell’assetato mercato campano e altrove. La storia ha dell’incredibile? Sembra uscita da una sceneggiatura del miglior Martin Scorsese? Come volete, del resto sono le parole di un collaboratore di giustizia a riferirla. Leggi l'approfondimento di Giordano Tedoldi su Libero in edicola giovedì 31 ottobre