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Letta ci prende gusto:i regali alle banche sono sei

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Non solo quote in Bankitalia rivalutate. Dal governo garanzie sui prestiti alle pmi e una bad bank per 145 miliardi di debiti

Matteo Legnani
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Tenere il conto non è affatto facile. Un po' perché sono parecchi un po' perché vengono  nascosti e non pubblicizzati. Il pallottoliere (per ora) si ferma a sei: sono i regali del governo di Enrico Letta alle banche italiane. Alcuni sono già messi nero su bianco negli atti ufficiali, altri saranno formalizzati tra pochi giorni, qualcuno è un progetto in fase piuttosto avanzata. L'operazione congegnata a palazzo Chigi ruota per lo più attorno alla legge di stabilità -  su cui il Governo si appresta a chiedere la fiducia -  e ai cosiddetti decreti collegati. Ma non solo.  In pratica, Letta ha preferito distribuire in più veicoli normativi i favori concessi ai banchieri invece di  metterli tutti insieme in un solo provvedimento. Opzione, quest'ultima, che avrebbe comportato il rischio di farsi «sgamare» subito. E in effetti la ricostruzione il dossier è stata una specie di caccia al tesoro. L'opera di dissimulazione del premier, che per l'occasione si è trasformato in uno stratega militare, è stata meticolosa. Qui mettiamo in fila i tasselli del puzzle scovati nel percorso: sconto fiscale sulle perdite; paracadute sui derivati legati a Bot e Btp; rivalutazione quote Banca d'Italia con consequenziale innalzamento dei coefficienti patrimoniali; garanzia della Cdp sui prestiti alle pmi; privatizzazioni con dividendo straordinario della Cassa depositi per la dismissione di Sace; realizzazione della bad bank in cui far confluire i 145 miliardi di euro di sofferenze (i  prestiti non rimborsati). L'elenco finisce qui. Tuttavia non ci sarebbe alcuna sorpresa se l'Esecutivo delle larghe intese dovesse allungarlo ancora un po'. Cerchiamo, intanto, di capire nel dettaglio di cosa stiamo parlando.   Partiamo con lo sconto fiscale sulle perdite. Si tratta degli sgravi tributari legati alla deducibilità dei crediti non performanti (le sofferenze), di cui abbiamo già riferito su queste colonne. L'arco di tempo in cui le banche potranno spalmare le sofferenze cala da 18 a 5 anni. E lo scherzetto garantisce agli istituti vantaggi per 20 miliardi tra il 2015 e il 2022. La norma è contenuta nella legge di stabilità che stasera approda all'esame dell'aula del Senato. Ed è proprio la relazione tecnica alla «finanziaria» che certifica l'entità del primo regalo agli istituti di credito. La riforma  allinea il sistema tributario italiano a quello degli altri paesi europei. Non a caso, la norma , dopo il giro di vite varato da Giulio Tremonti negli scorsi anni, era attesa. E per certi versi giusta. Tuttavia, quello bancario è l'unico settore ad aver beneficiato della generosità dell'Esecutivo.  Il secondo favore è il paracadute statale sui derivati. Si tratta della garanzia che lo Stato potrà offrire smobilitando la liquidità dei conti di tesoreria per assicurare i derivati degli istituti. Una misura che, stando alle carte di via Venti Settembre, non grava tecnicamente sui conti pubblici, ma che politicamente, invece, ha un peso enorme. Le banche che sottoscrivono derivati col Tesoro ottengono una speciale copertura assicurativa pubblica. Un paracadute, appunto, che non solo garantisce l'istituto che ha in pancia i bond pubblici italiani in caso di (improbabile) fallimento del Paese, ma che, nell'immediato, alleggerisce il peso di quei titoli, considerati rischiosi dalle agenzie di rating, e spinge in alto i requisiti patrimoniali. La norma è  scritta da un paio di mesi, ma il provvedimento in cui piazzarla va ancora  definito. Il paracadute «salva banche» era stato inserito prima nel decreto sull'Iva (settembre), poi nel collegato alla manovra (ottobre) con cui, tra altro, sono stati salvati i bilanci di Roma Capitale. Nessun ripensamento, comunque, assicurano fonti vicino al dossier. Al momento giusto il regalo sarà confezionato e consegnato ai banchieri.   Terzo: la rivalutazione della quote di Bankitalia. Bisogna attendere poco. Salvo ulteriori rinvii, già martedì il consiglio dei ministri mostrerà il semaforo verde alla riforma sull'assetto proprietario dell'istituto centrale. Il decreto era stato portato al cdm di mercoledì scorso e rinviato vista l'assenza del prescritto della Banca centrale europea.  La misura  porterà a un rafforzamento del capitale delle banche e delle assicurazioni azioniste di Bankitalia. Ci sarà purea un incasso per l'erario fra 1 e 1,5 miliardi che però, visti i tempi tecnici, dovrebbe arrivare nel 2014. La relazione commissionata al Comitato di esperti di alto livello formato dai professori Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi aveva nei giorni scorsi individuato un valore delle quote, ora al livello simbolico di 156mila euro, fra i 5 e i 7,5 miliardi di euro.  Per  istituti e compagnie si avrebbe un flusso di dividendi (circa il 6%) che salirebbe a un livello fra i 360 e i 420 milioni di euro l'anno. Non solo. Con la riforma scatta pure  un rafforzamento del patrimonio preziosissimo viste le regole di Basilea3 che chiedono di aumentare progressivamente gli indici di capitale. A sollecitare il decreto è stata l'Abi d'accordo con Intesa e Unicredit, principali «azioniste» di via Nazionale. La riforma, comunque, pone un tetto al 5% alle partecipazioni. Ne consegue che soprattutto Intesa (ha il  42,18% del capitale) dovrà successivamente cedere una parte consistente del suo pacchetto azionario. Non sono mancate, comunque, le critiche. Non solo fra quanti considerano l'operazione una sorta di trucco contabile, ma anche chi, come un ex alto funzionario della stessa Banca d'Italia, Giovanni Siciliano (oggi alla Consob), sostiene che «solo lo stato possa decidere sulla destinazione di risorse prodotte con beni pubblici» e perciò «deve essere il solo azionista» di via Nazionale.       Anche la garanzia della Cassa depositi e prestiti sui finanziamenti alle pmi, quarto regalo in ballo, è in dirittura d'arrivo.  La misura è contenuta in un emendamento del Governo alla legge di Stabilità che entro martedì sarà licenziata da palazzo Madama, per poi passare al vaglio della Camera. Il discorso è articolato, ma nella sostanza grazie al blitz le banche  pubblicizzano i rischi e  privatizzano gli utili. Per dare credito alle piccole e medie imprese potranno beneficiare dello scudo della Cdp. L'emendamento introduce «il Sistema nazionale di garanzia», che ricomprende il fondo di garanzia per le pmi, compresa la sezione speciale «Grandi progetti di ricerca e innovazione», e il fondo di garanzia per la prima casa. La Cdp, poi, potrà acquistare titoli dalle banche «nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto il credito verso piccole e medie imprese».    Con le privatizzazioni, poi, e siamo a cinque, le banche potranno ottenere un doppio beneficio. Il piano di dismissioni di aziende pubbliche è stato già approvato dal Governo. Saranno aperti diversi fronti. Uno di questi prevede la cessione di Sace (fino al 60%): la società che assicura le imprese all'estero è controllata dalla Cdp. Vuol dire che il ricavato  sarà girato agli azionisti: il Tesoro (80%) e le Fondazioni bancarie (20%). Seppure in via indiretta, gli istituti sono favoriti. E c'è chi sostiene che lo saranno anche dalle altre privatizzazioni. Nessuno vieta, infatti, che le stesse banche possano entrare in gioco e rilevare pacchetti di aziende in vendita. E con la crisi che ha sbracato le valutazioni, gli affari non mancheranno. Pure per le banche. Ultimo capitolo, la bad bank. Per ora si tratta di un progetto segreto in mano a Bankitalia, secondo quanto riferito dal settimanale L'Espresso. Anche in questo caso è possibile un ruolo della Cdp per la costituzione di un veicolo in cui confluirebbero  i 145 miliardi di euro di sofferenze. Gli istituti potranno liberarsi agevolmente della zavorra dei prestiti non rimborsati. Faranno uno sconto alla Cassa e  si troveranno coi bilanci puliti. Una lavanderia a basso costo. di Francesco De Dominicis

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