L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Renato Farina è una vecchia conoscenza dei lettori di questo quotidiano: dalla sua fondazione fino all'agosto scorso è spesso toccato a lui commentare le notizie del giorno e lo ha fatto con la passione che è nota a tutti. Quando poi Vittorio Feltri ha abbandonato Libero per diventare direttore del Giornale, Renato ha deciso di seguirlo, lasciando molti orfani tra chi ne apprezzava la capacità di scrittura. Naturalmente può succedere che un collega cambi testata: non è questo il punto. Il problema è che Renato è sparito, quantomeno dalle pagine del quotidiano di via Negri. È dalla metà del mese di gennaio che su Il Giornale non compare un suo articolo e non perché Renato abbia litigato con il direttore o perché Vittorio a non piacciano più le cose che scrive il suo editorialista: semplicemente perché Farina si è autosospeso, rinunciando a pubblicare anche se avrebbe una voglia matta di farlo. Probabilmente vi state chiedendo di che mi impiccio: sono fatti che riguardano un altro giornale e un collega che ha preso la sua strada, diversa dalla mia. M'impiccio perché questo è un caso di censura della libertà di espressione da parte di chi la libertà di espressione dovrebbe tutelarla e garantirla per ruolo istituzionale. Mi spiego: a tutti voi è noto che quattro anni fa Renato è incappato in un processo penale e in un conseguente procedimento disciplinare il quale ha portato alla sua radiazione dall'Ordine dei giornalisti. Durante uno dei suoi pellegrinaggi sui fronti di guerra era entrato in contatto con i servizi segreti italiani e aveva ritenuto di poter dare un contributo alla liberazione di alcuni ostaggi in Iraq, passando al Sisde anche altre informazioni riservate. Personalmente credo abbia sbagliato, ma sono certo che lo ha fatto in buona fede. Risultato: in base a una legge che impedisce agli iscritti all'Ordine di fare gli 007, a Renato è stato ritirato il patentino di giornalista, così che nessuna testata potrà mai più assumerlo o dargli un incarico da redattore, ancorché ordinario. Fino a ieri, o meglio fino a metà gennaio, Farina ha però continuato a scrivere, prima su Libero e poi, appunto, su il Giornale. Non come cronista, ma semplicemente come un qualsiasi cittadino che esprime le proprie opinioni in base all'articolo 21 della Costituzione, secondo cui «tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Fin qui tutto bene. Ma oltre un mese fa Renato ha deciso di sospendersi: lo ha fatto per evitare di danneggiare il suo direttore, il quale ieri si è dovuto presentare di fronte al tribunalino dei colleghi per rispondere del caso Boffo e di Farina. Il primo è ormai risaputo, mentre il secondo è meno noto: a Feltri si imputa di aver continuato a far scrivere un collega radiato dall'Ordine, aggirando la decisione dell'illustre consesso, per il quale Renato avrebbe dovuto letteralmente sparire dalle pagine dei giornali. Vista la brutta aria che tira in Consiglio e soprattutto la voglia che ha di accanirsi contro Vittorio Feltri (si parla di una sua probabile radiazione dall'Ordine), Farina ha dunque pensato di sospendersi. In pratica si è esiliato dalla carta stampata, cercando di farsi dimenticare, offrendo questa autocensura agli ex colleghi che lo hanno cacciato e ora devono decidere la cacciata di Feltri. Il gesto di Renato ovviamente gli fa onore, ma non fa onore all'Ordine dei giornalisti. Ripeto: si può pensare che abbia sbagliato e perfino che meritasse quell'espulsione dalla casta di chi si fregia del tesserino bordeaux. Ma non si capisce l'accanimento e la privazione del diritto di esprimere le proprie opinioni anche se non si ha più la patente di giornalista. L'assurdo è che a Renato, condannato per avere a suo modo tentato di aiutare i servizi segreti del proprio Paese, è negato il diritto costituzionale di manifestare il proprio pensiero, mentre a condannati per reati ben più gravi, come Adriano Sofri, mandante dell'omicidio del commissario Calabresi, è consentito di scrivere sulle più importanti testate e nessuno si sogna di radiare per questo Ezio Mauro. Ma che razza di libertà di stampa tutelano i guardiani dell'Ordine? A che princìpi deontologici risponde la loro voglia di mettere il bavaglio a Farina e magari anche a Feltri? Non va giù che non siano di sinistra come la corrente principale da cui provengono gran parte dei componenti dell'Ordine? Capisco che diano fastidio, ma questa è la stampa, bellezze. Oppure devo pensare che siano tutti amici di Travaglio, il quale non è contento di avere la sua tribuna e di poter lanciare ogni genere di accusa in assoluta libertà, ma pretende che ad altri sia negato il diritto di parola e quando se lo prendono li insulta? Beh, se questo è il vostro modello di giornalismo, preferisco star fuori dall'Ordine: preparatevi dunque a radiare anche me, perché sono pronto a offrire a Farina di scrivere per Libero.