L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Nei giorni in cui il governo è di nuovo terremotato dall'inchiesta di una procura, viene da chiedersi perché Berlusconi non abbia ad oggi messo mano a una seria riforma della giustizia che argini gli attacchi delle toghe contro la politica. Ci fosse una legge che regolamentasse l'azione penale, fissando le competenze dell'esercizio della giurisdizione anche nella fase d'indagine, e fosse in vigore un diverso ordinamento del Csm, ora non ci troveremmo a discutere di un caso come quello di Trani, la cui natura è talmente dubbia da aver spinto un giornale manettaro come il Fatto a confessare che reati simili a quelli contestati dalla procura pugliese raramente portano a una condanna. Rivelando così che il governo, la Rai, il Consiglio superiore della magistratura e anche il Quirinale sono impegnati a discutere di un'inchiesta che molto probabilmente rivelerà di essere solo un gran polverone. Non aver fatto una riforma della giustizia che impedisse degenerazioni dell'azione penale come quella cui assistiamo in questi giorni è forse la colpa più grave dell'attuale maggioranza. La rinviata riduzione delle tasse, la dimenticata abolizione delle Province e perfino l'auspicata revisione del sistema pensionistico passano in secondo piano rispetto alla promessa non mantenuta di arginare le toghe. Pur dichiarandosi spesso vittima di pm politicizzati, il Cavaliere in questi due anni non ha mosso un dito per impedir loro di nuocere ancora e oggi chiedendo agli elettori di rinnovargli la fiducia per una battaglia sacrosanta non può presentarsi a mani vuote, ma deve offrire un impegno concreto sul tema che più frena l'azione politica. Crediamo sia giunto il momento di annunciare tempi e modi di un provvedimento che rivoluzioni in nostro sistema giudiziario, rendendolo efficiente ma soprattutto non più condizionato dall'influenza della sinistra e delle correnti. Non serve molto: nessun grande studio né lunghe elaborazioni. Basta riprendere in mano una delle molte bozze di riforma presentate in Parlamento negli scorsi anni. Dal nostro punto di vista, la migliore è quella elaborata da Marco Boato, ex dirigente di Lotta continua e radicale, che Massimo D'Alema in persona scelse come relatore ai tempi della Bicamerale. Il progetto prevedeva una nuova composizione del Csm, con l'aumento dei laici, cioè i non magistrati, i quali a questo punto sarebbero stati pari ai membri con la toga, ma anche un nuovo assetto della sezione disciplinare, pure qui attribuendo ai laici un maggior peso, in modo che l'azione nei confronti dei magistrati che sgarranno non fosse più come ora, cioè all'acqua di rose. L'organo di autogoverno non avrebbe più potuto esprimere pareri politici e il Guardasigilli avrebbe potuto partecipare alle riunioni del Csm e riferire poi in Parlamento sullo stato della Giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi d'indagine. In pratica una riforma vera, forse la più dura che sia mai stata partorita da una commissione parlamentare e di cui la sinistra è stata levatrice. Berlusconi non dovrebbe fare altro che copiarla, ricordando che la bozza Boato fu osteggiata da Magistratura democratica, la corrente rossa delle toghe, la quale capì immediatamente che se la proposta fosse diventata legge le sarebbero state tagliate le unghie con cui in tutti questi lunghi anni ha condizionato la politica. Quale miglior ragione dunque per approvarla in fretta, cogliendo l'occasione che D'Alema e compagni non potranno opporsi a una legge che avevano preparato ed erano pronti ad approvare. In fondo anche il Pd sa che bisogna farla finita con la guerra tra giudici e politica e pur mostrando la faccia feroce aspetta solo che qualcuno si decida. Quel qualcuno ovviamente si chiama Berlusconi. Tocca a lui: lo sa la sinistra, lo sappiamo noi. Speriamo non ci deluda.