L'editoriale
di Gennario Malgieri
Alla Lega riesce facile, dopo le Regionali, giocare all'asso piglia tutto. Sono i suoi partner di coalizione che non sanno a quale santo votarsi per arginare le pretese del Carroccio. Com'era prevedibile, Bossi ha fatto scendere in campo, una settimana dopo il trionfo elettorale, i suoi uomini di punta per chiarire le sue intenzioni a tutti coloro che non le avevano ancora comprese. Roberto Calderoli prima, con un'intervista al Sole 24ore e Roberto Maroni dopo, al Corriere della sera, hanno svelato il piano leghista per trasformare l'Italia e, con molta onestà, hanno tracciato il percorso che dovrebbe portare qualcuno di loro (o a loro vicino) al vertice del governo nel dopo-Berlusconi. Le sortite sono state forti. Credo abbiano stordito la stessa maggioranza che continua ad illudersi, dopo aver dato alla Lega la golden share sull'esecutivo, di poter “addomesticare” un movimento che, per la verità, non ha mai fatto mistero degli obiettivi che intendeva raggiungere. Calderoli e Maroni, in sintesi, vogliono un'Italia federale senza sconti né annacquamenti. Pensano di trasferire alle Regioni tutte quelle materie a competenza concorrente e di lasciare allo Stato poco o nulla (politica estera, sicurezza e difesa); immaginano una forma di governo più vicina al semipresidenzialismo alla francese che non al presidenzialismo americano, ma non gradiscono il doppio turno di collegio, il ché è una contraddizione; ritengono di dover cancellare quell'ipocrita riferimento contenuto nel “finto federalismo” (parola di Calderoli) all'interesse nazionale. E, tanto per non farsi mancare nulla, lavorano, facendolo intendere, pur senza dirlo esplicitamente, ad un federalismo meridionale nella speranza (non infondata) che qualcuno abbocchi e dia luogo, magari per reazione, ad una Lega del Sud. Un piano ben congegnato, di fronte al quale bisogna togliersi il cappello. Davanti a tanta carne messa al fuoco, non si può rispondere, da parte di settori qualificati della maggioranza, ed in particolare da quelli provenienti da Alleanza nazionale, con dei superficiali ed irritati “niet”. Ad un progetto organico si replica con un altrettanto progetto organico e non con i velleitarismi di qualcuno che prima ha ritenuto di servirsi dell'alleato fedele leghista nelle regioni settentrionali per costruire l'egemonia del centrodestra e poi vorrebbe ingabbiarlo sparando bordate di incredibili banalità contro un competitore che è riuscito a raccogliere voti in tutti i ceti senza nascondere le proprie intenzioni, laddove altri hanno fallito avendo abbandonato la militanza ed il legame con il territorio (ancor prima della nascita del Pdl, naturalmente). Il progetto riformatore della Lega può non piacere (e a chi scrive, tanto per sgombrare il campo dagli equivoci, non piace), ma c'è, ha una sua intima coerenza, chiama alleati ed avversari a confrontarsi con esso e non a respingerlo aprioristicamente. Non è detto che non lo si possa fare: basta elaborare qualcosa che superi la proposta leghista con serie, fattibili e credibili riforme equilibrate. Il “laboratorio” di Fini, per esempio, nelle articolazioni che ha assunto, credo possa essere uno dei luoghi dal quale far emergere l'alternativa, a condizione che certi intellettualismi sfuggenti e di difficile comprensione vengano messi da parte. Dallo stesso “laboratorio” non è certo un peccato se dovesse venir fuori la discussione sul dopo-Berlusconi, ma anche in questo caso senza fare dall'antiberlusconismo di maniera da parte di tifosi eccessivamente zelanti. Del resto l'Opa che Maroni ha lanciato sulla nuova fase che si sta aprendo e che, probabilmente, si concluderà nel 2013, quando nuovi assetti si delineeranno, magari con Berlusconi al Quirinale, non può lasciare indifferente nessuno nel centrodestra poiché è il destino stesso della coalizione ad essere messo in gioco. La partita è certamente complicata, tutt'altro che priva di rischi per chiunque. Ma va affrontata senza ipocrisie e soprattutto negandosi, con un contrasto politico che non deve essere l'anticamera della rottura, all'impoliticità di chi pretendere di ottenere tutto e subito. Una partita, ovviamente, non contro Berlusconi, ma insieme con lui. A meno di non volersi votare al velleitarismo più sterile che avvantaggerebbe soltanto coloro che impropriamente già si sentono i padroni del Paese e magari pensano, dopo aver passato il Rubicone, di sistemarsi sulle rive del Volturno.