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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Eleonora Crisafulli
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Per anni sono stato convinto che, pur non amandosi, Berlusconi  e Fini fossero destinati a rimanere uniti. Una convivenza obbligata dalla mancanza di alternativa o, se preferite, un matrimonio con interessi tanto forti  da impedire la rottura nonostante l'odio fra coniugi. Senza il Cavaliere, il presidente della Camera infatti non aveva speranza di vincere una sola elezione e senza l'alleato il presidente del Consiglio non sarebbe mai arrivato a Palazzo Chigi. Ma dopo la nascita del PdL e la vittoria del 2008 molto è cambiato: oggi Berlusconi e Fini sono obbligati a divorziare, o, meglio, è l'ex capo di An a non potersi permettere di aspettare ancora. Ogni giorno che passa avvicina sempre di più la resa dei conti, uno show-down che, se il leader della destra non trova vie d'uscita, prevede un solo epilogo: la sua fine politica. Senza un colpo che ribalti la situazione, Fini nel 2013 infatti rischia di essere cancellato. Anzi: di non essere ricandidato. Mi spiego. È a tutti noto che l'ex delfino di Almirante è confluito nel PdL non per convinzione ma costretto da una pistola puntata alla tempia. Dopo aver a lungo atteso l'uscita di scena, giudiziaria o politica, del Cavaliere, credé fosse giunto il suo turno sul finire del 2007, dopo la mancata spallata a Prodi.  Purtroppo per Fini, l'offensiva per la conquista della leadership di centrodestra si rivelò una trappola.  Convinto d'aver messo all'angolo Berlusconi,  in realtà ci si ritrovò lui. Il partito unico, che all'iniziò il presidente della Camera liquidò come «le comiche finali», si trasformò in breve in un'arma micidiale e se An ne fosse rimasta fuori, alle elezioni sarebbe stata ridotta ai minimi termini, senza riuscire addirittura a  eleggere un suo parlamentare in Senato.  Nessuno esce politicamente vivo da una sconfitta in cui perde quasi la metà dei voti e Gianfranco appena si rese conto del pericolo in agguato si affrettò a rimangiarsi i propositi baldanzosi,  facendo un mesto ingresso nel Popolo della Libertà. Dal 2008 a oggi credo non sia passato un solo giorno in cui Fini non abbia meditato su come prendersi la rivincita. Del resto i mesi passati sono una concreta testimonianza dell'ambizione dell'ancor giovane leader. All'inizio forse sarebbe stata possibile una tregua oppure una rimonta sull'avversario. Ma i successi mietuti dal Cavaliere in tutte le elezioni di medio termine hanno spazzato via ogni velleità. Berlusconi non è affatto al tramonto e negli ultimi due anni è sopravvissuto a ogni attacco, anche a quelli del cofondatore. Se il premier avesse perso una sola sfida elettorale, magari l'ultima, tutto sarebbe stato più facile per il presidente della Camera, anche allearsi con Casini o con Montezemolo per dar vita a un nuovo centro. Invece, un Berlusconi trionfante, libero dalle catene dei procedimenti giudiziari, non lascia presagire nulla di buono per il cofondatore.  Il quale, se resta nel Popolo della Libertà, nel 2013 rischia addirittura di non essere candidato o di esserlo ma solo e senza pretoriani. Il successo alle Regionali e il rafforzamento dell'asse del Nord hanno fatto capire a Fini di non poter indugiare ancora. Non riuscisse nei prossimi tre anni a costruire un'alternativa, per lui sarebbe la fine. Non so quale sia il progetto di Gianfranco né su quanti fedelissimi possa contare. C'è chi dice venti, chi trenta, altri giurano che a conta fatta non si arriverà a quindici. Ce la facesse a costituire un gruppo parlamentare, il presidente della Camera potrebbe tendere qualche agguato al Cavaliere, cercando di azzopparlo, badando a non fare precipitare la situazione al punto di far sciogliere il Parlamento. Le elezioni sono infatti l'ultima cosa che Fini desidera: vi si ricorresse oggi egli farebbe la fine che il Cavaliere ha pronta per lui nel 2013 e questo l'ex pupillo di Almirante lo sa. Comunque vada, restiamo convinti che il fondatore di  Alleanza nazionale e cofondatore del PdL abbia buttato l'occasione più importante della sua carriera politica, ovvero la possibilità di guidare in futuro una grande destra italiana. Oggi al contrario, se anche riuscisse a evitare la sconfitta, per lui di grande non c'è nulla in vista.

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