L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Commentando il divorzio tra Berlusconi e Fini, editorialisti di illustri giornali hanno spiegato le ragioni politiche del dissidio, ricorrendo a dotte argomentazioni circa la diversa visione dei due leader. In realtà nella faccenda di politico c'è ben poco, mentre molto c'è di personale. Ho già scritto in passato che i due mal si sopportano e quando si incontrano si percepisce l'intolleranza che provano l'uno nei confronti dell'altro. Le ragioni di un tale comportamento in massima parte affondano nel carattere, il quale è quanto di più diverso si possa trovare, al punto che vedendoli insieme si capisce in un secondo che sono male assortiti, come capita ogni tanto a certe coppie. Infatti, tanto il presidente della Camera è freddo e riservato, tanto l'altro è cordiale e estroverso. Ciò che non ha potuto la natura, lo ha poi fatto la carriera. Gianfranco ha percorso la sua dentro un partito tutto ordine e conservazione, Silvio invece è cresciuto in un mondo dove l'ordine non era la regola e determinante era l'innovazione. In fondo sono queste diversità a separarli. Il Cavaliere in vita sua non ha avuto azionisti di minoranza e quando li ha avuti era già fuori dall'azienda. Nel suo impero è sempre stato lui a decidere e a volte dopo aver ascoltato i consiglieri ha fatto l'esatto contrario di quel che questi suggerivano. Per lui Fini è né più né meno un piccolo socio senza potere effettivo e come tale lo tratta e dunque è per lui naturale concludere un'intesa con un alleato come Bossi senza chiedere il parere preventivo del proprietario minore, perché questo è ciò che ha sempre fatto e a settant'anni suonati non ha certamente intenzione di cambiare. Berlusconi non capisce le obiezioni di Gianfranco e quando il presidente della Camera insiste la sua irritazione cresce. Si spiega così la reazione di giovedì pomeriggio, dopo il pranzo in cui il cofondatore s'era detto pronto a dar vita a gruppi autonomi, ovvero il senso di liberazione di cui il Cav. ha dato prova. Naturalmente questo non vuol dire che il presidente del Consiglio non sia abile in politica. Al contrario: proprio come un imprenditore è pronto a negoziare ogni cosa e anche a passare sopra questioni personali e insulti pur di ottenere ciò che gli sta a cuore. È accaduto in passato con Bossi e la Santanché, potrebbe accadere in futuro con Casini . Fini al contrario è più puntiglioso. Per lui un'offesa è un'offesa e non la dimentica molto facilmente. Quando i suoi colonnelli spettegolarono di lui in un bar della capitale, ci mise un secondo a cacciarli tutti e lo stesso successe con la Mussolini, la quale essendosi ribellata per le frasi contro il nonno fu tenuta fuori dalla Casa delle libertà anche se questo significò perdere le elezioni Regionali nel Lazio. L'ex pupillo di Almirante non perdonò neppure le prese in giro di Tremonti, il quale da ministro dell'Economia si era permesso di farsi beffe del vicepremier e pagò con le dimissioni. La lista naturalmente potrebbe continuare con tanti altri i quali con lui si sono scontrati, come Adriana Poli Bortone o Gasparri, ma credo di aver dato l'idea di che tipo è il cofondatore, il quale si comporta allo stesso modo difendendo con determinazione le sue posizioni, con una rigidità che a volte rasenta l'impoliticità. Due tipi così è improbabile che vadano d'accordo. Fossimo alle prime punzecchiature probabilmente si potrebbe pensare di smussare gli angoli, ma qui siamo a sedici anni di torti e ragioni. Difficile dunque immaginare di poter tornare indietro. Oggi più d'ogni questione politica pesano la diffidenza e il rancore, il senso di tradimento che ognuno imputa all'altro. A rimetterli insieme dunque non basterebbe alcun disegno politico condiviso, perché entrambi non si fiderebbero un secondo appena dopo averlo formato. Che fare dunque? La risposta è inevitabile: meglio separarsi. Per parte nostra possiamo solo aggiungere: peccato!