L'editoriale
di Maurizio Belpietro
I lettori perdoneranno, ma oggi ho deciso di prendermi una pausa e non scrivere delle beghe tra Fini e Berlusconi di cui mi sono abbondantemente occupato nei giorni scorsi. Confido anzi che qualcuno, non appassionato al divorzio nel centrodestra, tiri un sospiro di sollievo. In attesa che le nubi sopra il PdL schiariscano, magari nella riunione della direzione nazionale programmata per oggi, ne approfitto per parlare di Vittorio Rivolta. Credo che il nome non dica alcunché alla maggioranza, ma pur sconosciuto ai più Rivolta è un signore la cui storia merita di essere raccontata. Su di lui, nei giorni scorsi, sono apparse poche righe nelle pagine di cronaca cittadina dei giornali milanesi: una breve per dare notizia della sua morte, sopraggiunta all'età di 82 anni. In esse si ricordava che Rivolta era stato nei lontani anni Settanta assessore alla Sanità della Lombardia e come tale s'occupò della fuga di diossina dagli impianti brianzoli di una multinazionale svizzera. In realtà egli fu qualcosa di più di un bravo amministratore che fronteggiò il disastro della nube tossica di Seveso, perché promosse la riforma sanitaria della Regione, quella stessa che razionalizzò gli ospedali e la spesa pubblica nel settore, gettando le basi per la buona assistenza di cui oggi la Lombardia si fa vanto. Da esponente della sinistra dc ebbe il coraggio di far chiudere alcuni presidi sanitari, concentrando l'assistenza in altri giudicati più efficienti e meno dispendiosi. Una scelta impopolare: a nessuno infatti piace rinunciare alla comodità di un ospedale sotto casa, anche se il nosocomio non è giudicato il migliore o il più attrezzato. Quando Rivolta varò il suo piano, interi paesi privati dell'ospedale locale insorsero. Ci furono contestazioni e minacce, in qualche caso anche incidenti e perfino un attentato. Ma l'assessore tenne duro e la riforma passò. Insieme passò però anche la sua carriera politica, che praticamente lì si fermò perché chiudere gli ospedali e tagliare le spese non è un'operazione che porta consensi, almeno a breve. Rivolta insomma non divenne deputato, come molti altri invece, e neppure rifece l'assessore e dovette accontentarsi di ruoli minori. Vi domandate perché racconto una storia di oltre trent'anni fa che riguarda un politico semisconosciuto e totalmente dimenticato? Semplice: perché di Rivolta in Italia ce ne sono pochi. Tutti presi a conservare le proprie clientele si guardano bene dal mettere mano alle forbici e quindi conservano anche gli ospedali decrepiti o inutili, dove ci sono più dipendenti che malati. Così in regioni come Puglia, Campania, Calabria e altre si è creata una voragine nei conti pubblici della sanità che si fatica a riempire, senza che nessuno abbia il coraggio di darci un taglio. Tutto ciò non per fornire più assistenza ai cittadini, ma più semplicemente per non ricevere meno voti e rovinarsi la carriera politica. Ci vuole coraggio ad andare contro l'opinione pubblica. Ma è quel coraggio che fa la differenza fra un bravo amministratore e un ciarlatano. Onore dunque a tutti i Rivolta, sperando che anche nel Mezzogiorno se ne trovi qualcuno.