L'editoriale
di Maurizio Belpietro
In politica non esistono il bene e il male come categorie assolute e definite: esiste ciò che conviene al momento e ciò che invece è inopportuno o addirittura dannoso. Volendo si può parlare di una coscienza morale mobile, che cambia ed è più o meno elastica in ragione delle diverse situazioni. In queste ore ad esempio tutti si domandano cosa sia meglio o peggio: chiedere o no le dimissioni del ministro Scajola per la vicenda della casa di fronte al Colosseo? Sostenerlo a spada tratta fino alla fine o abbandonarlo al proprio destino prima che arrechi danni a terzi? La questione non è di poco conto, perché a prescindere dalla fondatezza o meno delle accuse rivolte al responsabile dello Sviluppo economico, la sua difesa o l'attacco contro di lui dipendono da cosa potrebbe accadere qualora Scajola lasciasse l'incarico. Le possibili conseguenze spaventano molti e dunque la condotta è condizionata proprio dalle reazioni a catena che potrebbero scatenarsi. La maggioranza, dalla Lega allo stesso PdL, sta sostenendo all'unisono il numero uno di via Veneto, perché teme che l'uscita di scena del ministro apra una crepa che comprometta la stabilità di tutto il governo, mettendo a rischio la legislatura e di conseguenza anche le riforme che potrebbero essere varate nei prossimi tre anni, federalismo compreso. Per lo stesso motivo anche a sinistra non premono l'acceleratore sulla richiesta di farsi più in là, perché sanno che se dovesse cadere l'esecutivo l'epilogo più probabile sarebbero le elezioni, le quali per il Pd potrebbero trasformarsi nell'ennesima batosta, chiudendo prematuramente la segreteria Bersani. L'idea della crisi in fondo non piace neppure ai finiani i quali, eccezion fatta per quella testa calda di Granata, ci vanno molto cauti a maneggiare l'affaire Scajola, temendo di fornire l'innesco per l'esplosione che potrebbe travolgerli tutti. Risultato: a insistere sulle dimissioni restano solo i quattro gatti dell'Italia dei valori, i quali non avendo nulla da perdere, ma anzi molto da guadagnare dalla confusione e dal caos che si scatenerebbero in seguito a una crisi di governo, continuano a reclamarle a gran voce. Fin qui a chi conviene e a chi no che Scajola se ne vada. Ma indipendentemente da ciò che è bene o male per il governo e per l'opposizione, resta il tema di cosa sia meglio per il ministro, il quale se ha preso 900 mila euro da un imprenditore per pagarsi la casa ha l'obbligo di farsi da parte, perché temporeggiare non serve a nessuno, soprattutto a lui. Appena i magistrati che indagano lo avranno ascoltato, saranno resi pubblici verbali a quintali e difficilmente da questa tempesta di carta e accuse uscirà politicamente vivo. Se invece non ha preso un euro e le testimonianze fin qui sentite sono una colossale montatura ai suoi danni, fatta da persone che coltivano altri interessi, Scajola deve assolutamente uscire dall'angolo e combattere a viso aperto, tentando di smontare ad uno ad uno i dubbi che aleggiano da giorni sulle pagine dei giornali. Insomma: indipendentemente da ciò che conviene alle diverse fazioni politiche, fossimo nel ministro per lo Sviluppo economico non ci staremmo a farci rosolare così sulla pubblica piazza e decideremmo di agire. Ma solo lui sa quale delle due opzioni scegliere. Noi gli suggeriamo solo di non temporeggiare più. Perché attendere i dieci giorni che mancano all'interrogatorio sarebbe troppo.