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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Michele Santoro, come un Berlusconi qualsiasi, si lamenta per la fuga di notizie. Gli dà fastidio che i giornali continuino a occuparsi di lui e insistano sulla faccenda dei soldi. Vorrebbe che i colleghi si imbavagliassero di fronte a questioni banali come i milioni di euro che gli dà mamma Rai per levarsi di torno. Che diamine: un po' di privacy! Uno che ha le stimmate del martire della libertà di stampa non può essere trattato così dalla stampa. Mica stiamo parlando di un parlamentare, di un banchiere o di un cittadino come tutti gli altri. Qui si tratta del principe della tv, anzi del monarca che per diritto divino, o meglio: del magistrato, va in onda in prima serata. Un po' di rispetto dunque. Altrimenti, se lo si fa arrabbiare non toglie più il disturbo (anche se ormai per lui sarebbe impossibile fare retromarcia e restare al suo posto). Al telepredicatore di Annozero pare abbiano dato parecchio fastidio i commenti sulla maxi liquidazione (quasi 3 milioni di euro) e la buonuscita che prevede 14 puntate di docufiction pagate un milione tondo di euro l'una. Abituato a non lasciarne passare una agli altri, è andato fuori dai gangheri perché qualcuno ha applicato lo stesso metodo con lui: tale e quale a Travaglio quando gli si ricordano le vacanze con un tizio condannato per favoreggiamento di mafiosi. Ma certo: come si permettono quei pidocchiosi dei colleghi di fare i conti in tasca a un grand'uomo del piccolo schermo? Diciassette milioni sono niente di fronte al suo talento. A procurare dispiaceri è anche il fuoco amico del giornale delle procure, che ieri ha sparato un paio di colpi contro l'imbonitore di Rai2. Il primo è a firma di Massimo Fini, il ribelle, il quale rimprovera a Santoro di usare la televisione di Stato per gli affari suoi. Sotto il titolo «Il regime degli show men», l'opinionista del Fatto quotidiano cita il conduttore di Annozero  come «esempio di delirio di onnipotenza e della perdita di ogni limite», rimproverandogli di aver parlato giovedì scorso per venti minuti buoni, con arroganza, di sue questioni personali come se fossero fatti nazionali. E nella stessa pagina il segretario dell'Associazione della Stampa romana, Paolo Butturini, lo accusa di «insopportabile autoreferenzialità», dandogli praticamente del traditore. «Che ne sarà», si domanda il sindacalista, «di tutti i colleghi  che combattono  ogni giorno la stessa battaglia per la libertà di informazione senza averne alcunché in cambio, né dal punto di vista della popolarità, tanto meno dal punto di vista economico? Che fine faranno i colleghi  di Annozero cui la Rai non applica il contratto giornalistico, ma senza i quali non ci sarebbe alcuna trasmissione, alcuna inchiesta, alcuna docufiction?». Dicono che Santoro questa pugnalata alle spalle del Fatto non  se l'aspettasse proprio: sapeva  che Travaglio c'era rimasto male per essere stato l'ultimo a saperlo, ma non immaginava che reagisse così. Insomma: uno psicodramma nel dramma. La verità è che tra i due non corre più buon sangue. Due primedonne a cui lo stesso palcoscenico ormai sta stretto. Ognuno rivendica il primato d'essere più puro e duro dell'altro. Dimenticano che, come diceva Pietro Nenni, chi fa il puro e duro trova sempre uno più puro e duro che lo epura. Comunque auguri. Questo è proprio l'Annozero della tv.

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