L'editoriale
di Maurizio Belpietro
«Gianfranco Fini appare sempre più un pesce fuor d'acqua nel PdL. Con gli ex colonnelli di An si evitano, tranne un breve colloquio con La Russa. La cordialità il presidente della Camera e la sua compagna Elisabetta Tulliani la riservano tutta alla sinistra. Fini parla dieci minuti con il direttore dell'Unità Concita De Gregorio. Si apparta con il direttore del Tg3 Bianca Berlinguer. Incontra i “nemici” del Cavaliere alla Rai Paolo Ruffini, appena reintegrato a Raitre, e Giovanni Floris. Si ferma a lungo con loro. Vede in un capannello Massimo D'Alema e Francesco Rutelli e li raggiunge. “Compagno Fini”: nessuno lo chiama così, molti lo pensano». Chi ha seguito la terza carica dello Stato nelle sue frequentazioni con la sinistra mentre era a passeggio nei giardini del Quirinale martedì pomeriggio? Vittorio Feltri, che con il presidente della Camera ha ormai una partita aperta da mesi? Oppure un cronista in incognito di Libero che voleva mettere in cattiva luce l'ex capo di An ora capo di non si sa cosa? No. La lunga citazione è opera di Goffredo De Marchis, valente cronista parlamentare della Repubblica, il quotidiano che più ha in simpatia Gianfranco Fini. A descriverlo come un militante del Pd non è stato il Giornale della famiglia Berlusconi e neppure noi che di famiglia abbiamo appena la nostra. A dipingerlo come un compagno è stato l'organo ufficiale dei progressisti, il quale si è peritato di segnalare in un titolo che Fini ormai snobba Berlusconi e parla solo con la sinistra. Per quel che ci riguarda non c'era ovviamente bisogno che ci avvisasse il foglio di Ezio Mauro, perché da tempo avevamo capito cosa pensasse e quale strada avesse intrapreso l'ex segretario del Movimento sociale post almirantiano. Ma chi avesse ancora dubbi credo debba accantonarli: a volte infatti i comportamenti delle persone rivelano assai più delle parole ciò che realmente pensano. E nel caso di Fini credo sia proprio così: anche se si affanna a dire che ha in mente una destra moderna ed europea, è evidente che ormai è distante anni luce dalla destra, almeno da quella reale e non immaginaria su cui possiamo contare in questo Paese. Nonostante manifesti l'intenzione di restare dentro il PdL per contribuire a cambiarlo, il presidente della Camera ne è ormai fuori e se formalmente non ha dato le dimissioni è solo per calcolo politico. Il suo disegno di dar vita a un nuovo partito o anche semplicemente a un gruppo parlamentare si è infatti scontrato con la realtà dei numeri. Ecco che allora Fini sta mettendo in pratica una guerra di logoramento del governo, cercando di ostacolarne il percorso in ogni modo. Lo ha spiegato bene Marcello Pera, l'ex presidene del Senato che essendo stato dimenticato da Berlusconi non ha certo alcun motivo per schierarsi a suo favore ed anzi di questi tempi era pure accreditato di una certa vicinanza a Fini. Eppure, da professore e poco da politico, Pera non esita a parlare di ricatti, ricordando che la presidenza di una camera non può essere usata a fini politici: «La voglia di fare futuro può anche portare a tradire gli impegni elettorali», scrive l'ex numero uno di Palazzo Madama, «ma non i vincoli costituzionali». Per fare futuro, aggiungiamo noi, bisogna averne uno e non limitarsi a vivere di rendita del posto conquistato.