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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Pochi lo sanno, ma i magistrati sono gli unici lavoratori che ancora godono della scala mobile. Per loro il meccanismo di adeguamento automatico dello stipendio non è mai stato abolito e ogni tre anni, senza che si disturbino a chiedere o ad aprire vertenze, la loro busta paga si conforma alle mutate esigenze. Lo chiamano allineamento, in realtà è un sistema che consente di avere gli aumenti non facendo neppure un'ora di sciopero. Ma la scala mobile non è il solo privilegio su cui possono contare le toghe e vale la pena di passare in rassegna anche gli altri, soprattutto in un momento in cui i giudici lamentano i tagli iniqui della manovra finanziaria e preparano manifestazioni di protesta, oltre che astensioni dal lavoro e dalle udienze. La fonte è Magistrati. L'Ultracasta, un libro scritto dal giornalista dell'Espresso Stefano Livadiotti, il quale un anno fa ha raccontato tutto ciò che non va nei tribunali, benefici dei magistrati inclusi. Il più cospicuo dei vantaggi è dato proprio da quello stipendio che Giulio Tremonti vorrebbe provare a contenere almeno nel suo sistema di progressione retributiva. Le paghe, scrive il collega del settimanale debenedettiano, sono le più alte di tutta l'Europa Continentale e  i vertici prendono addirittura il doppio di chi ricopre analoghi incarichi in Francia. Al già pingue compenso, molti di loro sommano gli incarichi extragiudiziali, come gli arbitrati o altro. Se poi lo desiderano, possono lavorare fino a 75 anni, riuscendo così a far lievitare il trattamento pensionistico, che nel 2002 era stimato in 6mila euro per 13 mensilità, più liquidazione da 330mila euro. Oltre ad essere ben retribuiti, i magistrati godono anche di un adeguato periodo di riposo, avendo a disposizione ben 51 giorni di ferie contro i trenta circa dei comuni mortali. I privilegi però non finiscono con la scala mobile, lo stipendio e le vacanze: c'è anche la progressione automatica della carriera. Fino al 1965 chi voleva salire di grado era costretto a sottoporsi a una selezione assai dura ed erano pochi quelli che riuscivano a superare il concorso arrivando in Cassazione. Dal 1966 tutto è cambiato. Due provvedimenti denominati Breganzé e Breganzone, dal nome dell'avvocato democristiano che li partorì, hanno eliminato le commissioni d'esame, affidando tutto al Csm, cioè alle correnti che lo compongono. Risultato? In magistratura non si fa carriera dopo aver superato una seria esaminazione, ma si sale per automatismo, anche se non c'è nessun posto da ricoprire una volta promossi. Già, perché l'altro meccanismo riguarda l'assoluta mancanza di corrispondenza tra stipendio e funzioni: una volta superato l'esame, se le poltrone di magistrato di Cassazione non ci sono e si continua a fare il lavoro precedente, la paga diventa comunque quella che spetterebbe in caso di trasferimento alla Corte suprema.  Insomma, un po' come se in redazione si facesse un concorso per direttori e poi, essendo l'incarico momentaneamente occupato, si concedesse a tutti lo stipendio del capo. Follie cui l'ex ministro Castelli ha cercato di porre rimedio con il sistema della selezione, ma che di fatto proseguono. I giudici che ieri hanno deciso il programma di scioperi naturalmente preferiscono non parlare dei loro stipendi e fingono che i tagli per cui protestano riguardino invece il funzionamento della Giustizia, lamentando carenza di risorse e di mezzi che ne limitano l'autonomia. Le cose però non stanno così e, se non si vuole credere a Livadiotti, si può rileggere ciò che ha scritto Giuliano Pisapia, già parlamentare di Rifondazione comunista e avvocato debenedettiano, nel libro In attesa di giustizia, realizzato a quattro mani con Carlo Nordio.  Da ex presidente della Commissione giustizia, Pisapia ha ricordato che nel 2004, ultimo anno con cui sono possibili comparazioni, la spesa pro capite per il funzionamento dei tribunali nel suo complesso è stata in Italia di circa 68 euro, contro i 56 della Spagna, i 47 della Francia, i 31 dell'Irlanda, i 29 della Danimarca e i 22,5 del Regno Unito. Insomma, il problema non sono i soldi, ma il modo con cui li si spende. Dice il legale con simpatie comuniste: «Niente è cambiato negli ultimi vent'anni nel settore, nonostante le somme destinate siano una delle componenti in maggiore crescita nel bilancio pubblico dagli ultimi anni Novanta».  Dunque, tanto per riassumere: gli stipendi sono d'oro, la carriera anche, le vacanze pure e il denaro necessario per far funzionare i tribunali non manca. Giudicate voi, perciò, le ragioni della protesta che bloccherà le udienze e farà slittare i processi. Tutto si può dire, tranne che lo sciopero sia a fini di giustizia.

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