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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Per noi, che da anni seguiamo la cronaca giudiziaria, non è stata una novità. Abbiamo sempre saputo che alla base di tutto c'è un triangolo, fatto di pm, investigatori e giornalisti, i quali con la facile scusa della giustizia e del diritto all'informazione, fanno i comodi loro. Con le fughe di notizie si sono costruite splendide carriere, nei giornali come nella magistratura e quasi sempre i successi professionali hanno avuto un approdo politico. Dunque non ci stupisce la storia di Trani, in cui il procuratore che indaga il direttore del Tg1 per rivelazione del segreto istruttorio (un trucco per mettere nel mirino il presidente del Consiglio), è poi lo stesso pm che spiffera la notizia a una giornalista, in collaborazione con l'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'inchiesta. Le violazioni del segreto istruttorio sono state la benzina di Mani pulite, perché grazie ad esse è stata orientata l'opinione pubblica. La cricca delle procure e delle redazioni in questo modo ha fatto pulizia di colpevoli e innocenti, cercando di realizzare un disegno politico che doveva portare la sinistra e i suoi referenti economici al potere. A rivelare gli oscuri legami fra magistrati e giornalisti alla base della più grande inchiesta politica mai fatta in Italia fu Paolo Mieli, che dal 1992 fino al '97 guidò il Corriere della Sera. L'ex direttore sa bene di essere stato l'acritico trombettiere della rivoluzione giudiziaria e conosce le fonti di molti degli scoop del giornale di via Solferino. Ma soprattutto gli sono noti i guasti che quella stagione ha prodotto. Tornando al caso Trani, l'inchiesta doveva dimostrare che il potere politico voleva imbavagliare la libertà d'informazione, rappresentata ovviamente dai soliti Santoro e Travaglio. Invece, paradossalmente, dimostra proprio il contrario, ovvero l'uso politico che una parte della magistratura fa delle inchieste, e le strumentalizzazioni cui si presta la cosiddetta stampa libera. È la prova di come alcune procure usano l'informazione per orientare le indagini a fini politici. È ciò che da anni sosteniamo e perciò siamo favorevoli a una regolamentazione che blocchi questo commercio. Certo non c'era giorno migliore di ieri per alzare il velo su questo sistema: sapere cosa è accaduto a Trani mentre si votava la legge sulle intercettazioni probabilmente servirà a illuminare qualche mente travagliata. Naturalmente non ci facciamo illusioni, non solo perché i faziosi e i disonesti continueranno a sostenere che tutto dev'essere messo a disposizione dell'opinione pubblica, ancor prima che si accertino i reati. Ma soprattutto perché fatta la legge, ci sarà chi troverà l'inganno e così il gioco tra guardie e ladri ricomincerà. Solo che i ruoli in qualche caso sono invertiti  e, a volte, chi dice di essere una guardia si rivela un ladro.

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